Cecilia e l’unicorno

Cecilia e l’unicorno

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Virtù, cultura e bellezza di Cecilia Gonzaga (1424-1451)

Pareri Rudi-mentali (del 23/6/09)

Ded. to Yasmil Raymond, that taught me new outlooks of art.
This unicorn, a favorable omen, is for her.

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Sono stato incuriosito nei giorni scorsi dalla conoscenza dell’unica medaglia dedicata a una donna che Pisanello, artista del Millequattrocento raffinatissimo e sensibilissimo, abbia forgiato. La medaglia in questione è dedicata a Cecilia Gonzaga.
Questa Cecilia era figlia di Gianfrancesco Gonzaga di Paola Malatesta e visse nella prima metà di quel Millequattrocento. Fu allieva di quel Vittorino da Feltre di cui abbiamo parlato un paio di settimane fa. Si racconta che la ragazza avesse un ingegno vivissimo e che già a sette anni conoscesse perfettamente la lingua greca, oltre che il latino e tutti i versi di Virgilio.
Il padre Gianfrancesco era orgoglioso di lei, ma evidentemente non la conosceva bene: quando la ragazza seppe che il padre, in base a calcoli politici, senza neppure avvertirla l’aveva promessa sposa al figlio del duca di Urbino, Cecilia si ribellò. Voleva decidere lei della propria vita; aveva già maturato un suo progetto e non lo avrebbe cambiato. Prese carta e penna, e osò di sua iniziativa scrivere al “fidanzato” per dirgli che non l’avrebbe sposato mai, né lui né nessun altro, perché intendeva darsi a vita vergine e farsi monaca.
Gianfrancesco andò su tutte le furie, la straziò con percosse, minacce e offese varie. Addirittura la madre Paola, presa dal sospetto che Cecilia traesse conforto nell’esibire la sua saldezza, sovente imprecò gridando e insultando, e proibì a tutti di incontrarla.
Cecilia non disse nulla; sopportò e attese in silenzio per anni, rifiutando tutti gli altri partiti che il padre le proponeva. E non appena egli morì entrò in monastero a coronare la sua aspirazione. Visse in convento col nome di suor Chiara per il resto dei suoi giorni. Morì nel 1451, all’età di venticinque anni.
Il mio interesse alla medaglia di Pisanello, nel cui verso è raffigurata Cecilia Gonzaga, è stato però più incentrato sul suo rovescio. Vi è infatti raffigurato un tema a me molto caro della simbologia animale: in un paesaggio roccioso e illuminato da una falce di luna è raffigurata una giovane figura femminile, vergine, con un unicorno accucciato su di lei.
L’unicorno, simbolo di purezza e di forza, nonostante il suo innegabile simbolismo fallico, è collegato sin dall’antichità al tema della verginità. I bestiari medievali, cioè i testi che spiegavano il simbolismo degli animali, ci raccontano che «l’unicorno è un piccolo animale, simile al capretto, ma ferocissimo; ha un solo corno in mezzo alla testa. I cacciatori non possono avvicinarlo a causa della sua forza straordinaria. E allora come gli si dà la caccia? Espongono davanti ad esso una vergine immacolata, e l’animale balza docile nel seno della vergine, ed essa lo allatta, e lo conduce al palazzo del re».
Con la raffigurazione della vergine con l’unicorno di questa medaglia, Pisanello vuole quindi trasmettere un messaggio ben preciso: Cecilia, con la sua ostentata verginità e saggezza, portò lustro al casato dei Gonzaga.
Per amor di cronaca, infine, vi dirò che il promesso sposo a Cecilia, il figlio del duca di Urbino, non molto tempo dopo fu assassinato; si suppose da un gruppo di cittadini le cui mogli erano state violentate da questo giovane «violentemente incline alla libidine».
[r.favaro]

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« Effigie di una vergine dal petto esile, dal collo di cigno, dalla capellatura raccolta indietro a guisa di borsa grave, dalla fronte alta e sfuggente già promessa all’aureola della beatitudine: vaso di purità suggellata per sempre, duro, preciso e limpido come diamante; pisside adamantina in cui era custodita un’anima consacrata come l’ostia del sacrificio: cicilia virgo filia johannis francisci primi marchionis mantue ».
(Gabriele D’Annunzio, Il fuoco, 1900)

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« Più certo è che il materiale duttile e sensibilissimo della cera rivelò Pisanello a se stesso, fu il limite tecnico che gli suggerì una sua più vera libertà … La luce di luna che colma la valle melanconica con la fanciulla e l’unicorno, nel verso della medaglia per Cecilia Gonzaga … sono invenzioni così soline ed ariose che … non ci si arrenderebbe tanto facilmente a credere si parli ancora del miniatore dii affreschi fuori misura … o dell’autor di ritratti su tavola dove lo “”zògrafos”” (come il Pisanello grecamente si sottoscrive nella medaglia del Paleologo) non è più “”delineatore della vita”” nel senso greco, ma proprio “”zoografo””, e cioè pittor d’animali … Grande il Pisanello fu soprattutto e letteralmente nel “”rovescio della medaglia”” ».
(Roberto Longhi, “Una mostra a Verona”, in L’Approdo letterario, 1958)

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