Jethro Tull “Aqualung” (1970)

Jethro Tull “Aqualung” (1970)

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1. JETHRO TULL "Aqualung"
2. JETHRO TULL "Cross-Eyed Mary"
3. JETHRO TULL "My God"
4. JETHRO TULL "Locomotive Breath"
5. JETHRO TULL "Cheap Day Return / Wond'ring Aloud / Slipstream"

discobase-fb-logoI Jethro Tull furono una delle più originali formazioni inglesi negli anni Settanta. La loro attività prosegue a tutt’oggi, ma probabilmente il loro capolavoro rimane il quarto disco, pubblicato nel 1971. La copertina, fra le più famose e riconoscibili della storia del rock, se non fra le più belle, ritrae un clochard con le fattezze del leader Ian Anderson, flautista e cantante. “Aqualung”, nome del disco, della prima traccia e del personaggio in copertina, significa “autorespiratore”. Il titolo venne deciso pensando al rumore sibilante che, nella fantasia di Anderson, il barbone emetteva a ogni respiro.
La somiglianza di Aqualung con il suo principale artefice, Anderson, fece pensare che si trattasse di un concept album a sfondo autobiografico, ma così non è. Il leader dei Jethro Tull si affrettò a precisare che “lui non era mai stato un accattone” e che la somiglianza con le sue fattezze fu più che altro una trovata estemporanea. In effetti, le liriche del disco affrontano vari temi, con due centri tematici fondamentali nella condizione degli emarginati e, soprattutto sul secondo lato, nel rapporto uomo-religione.
La mistura esplosiva di hard-rock, folk britannico, strumenti di tradizione classica e la tendenza a una peculiare deformazione ritmica della forma-canzone, fanno di “Aqualung” il disco musicalmente più vario ed equilibrato della produzione della band, in qualche modo vicina ai Traffic di Steve Winwood, ma con sonorità più tese verso la distorsione elettrica ed uno spiccato gusto per il riff più che per l’improvvisazione. Proprio la libertà nell’utilizzo di ritmi “squadrati” e irregolari è uno degli aspetti più interessanti della prima produzione dei Jethro Tull, in questo vicina al prog-rock ma ancora libera dalla ambiziosa sovrastrutturazione che li accomunerà a tante formazione storiche del progressive, e che raggiungerà forse il suo apice in “A Passion Play” del 1973. L’introduzione di ritmi inusuali nella struttura chiusa della rock song e del blues (cosa peraltro già ampiamente sperimentata dai Chicago nel loro “Chicago Transit Authority” del 1969) anziché nella struttura aperta della “suite” (come tipico dei Soft Machine o dei King Crimson e di tutto il progressive-rock inglese) giova immensamente alla freschezza del sound dei primi dischi dei Jethro Tull.
Si inizia con il celeberrimo riff distorto della title-track, scandito da attimi di geniale silenzio. “Aqualung” prosegue sorretta dalla voce stentorea e nasale di Anderson, capace di notevoli cambi di registro, e magistrale nell’equilibrare la melodia della chitarra con glissando e improvvise ruvidezze, mentre dipinge lo squallido quadretto urbano, con Aqualung seduto da solo nel parco: “Sitting on a park bench, eyeing little girls with bad intent”. Il repentino dimezzamento del tempo a metà canzone introduce la vena acustica del gruppo e aggiunge in effetto drammatico. Si prosegue con “Cross-eyed Mary”, storia di una “prostituta Robin Hood” che si intrattiene con uomini facoltosi per poi dare soldi ai poveri. Introdotto da una marcetta in crescendo con flauto e tastiere, l’hard rock dei Jethro Tull si appoggia sul duetto chitarra distorta-pianoforte che è uno dei tratti più distintivi del loro sound. Il riff celeberrimo del ritornello, doppiato dal basso, trascinante e swingato, renderà il brano uno dei più acclamati nelle esibizioni dal vivo.
Le tre tracce successive, “Cheap Day Return”, “Mother Goose” e “Wond’ring Aloud”, costituiscono un trittico acustico di rara finezza: la prima è una toccante riflessione di Anderson su “come l’infermiera starà mai trattando il vecchio padre infermo”, di fatto un pezzo-solo per chitarra acustica, arricchito dal canto quasi recitato e da qualche delicato spunto di flauto in sottofondo. In “Mother Goose” lo stesso Aqualung prende la parola per raccontare uno stralcio di giornata, fra minacce, rimpianti e vecchi amici. La chitarra acustica è padrona della scena, disegna una ritmica in 3 e 5/4 con divagazioni soliste ad avvolgere il canto dimesso di Anderson. Il flauto onnipresente arricchisce gli intermezzi. “Wond’ring Aloud” descrive una scena di coppia in toni sempre più malinconici – la voce è quasi un sussurro, la chitarra acustica sembra distante, suonata con leggerezza; violini e pianoforte arricchiscono con discrezione il quadretto.
“Up To Me” innalza di nuovo la tensione e ci trasporta in un’atmosfera da medioevo inglese, ma il testo è un ritratto proletario, tutto ironica malinconia. Il refrain strumentale per flauto e chitarre è emblematico, e il brano è forse il più breve riassunto possibile della musica dei Jethro Tull fino al 1971.
Il secondo lato si apre con “My God”, che probabilmente costituisce la più alta vetta artistica di Anderson: un brano di sferzante satira sul tema della religione come elemento di controllo sociale. Si tratta di una mini-suite di sette minuti con introduzione acustica, tema hard rock per pianoforte e chitarra, intermezzo per flauto solo e voci corali, refrain strumentale con solo di flauto e ritorno al tema principale. Il tutto strutturato su una varietà impressionante di pattern ritmici (quasi tutti dispari, ma che sommati l’uno all’altro conducono a multipli di quattro) e con una costante atmosfera da epica di strada. La forte polemica anti-clericale e anti-religiosa del brano si fa evidente in versi come “People what have you done/locked Him in His golden cage/Made Him bend to your religion/Him resurrected from the grave”. Inizialmente anche l’album doveva chiamarsi “My God”, ma il titolo dovette essere cambiato perché già circolava un bootleg live intitolato allo stesso modo: in effetti i Jethro Tull eseguivano la suite dal vivo già da tempo. La sezione centrale per voci corali e flauto ricorda da vicino l’atmosfera dei “Carmina Burana” (componimenti goliardici in latino risalenti al dodicesimo secolo, musicati nel 1937 da Carl Orff) magari arricchiti da numerosi bicchieri di birra. Il risultato è una “musica da taverna nella Canterbury medievale” che ben si armonizza con le altre vene compositive e tematiche del brano – l’epica hard rock, la satira di costume, l’atteggiarsi del leader a girovago menestrello. Il brano segna in realtà un punto di arrivo e un punto di partenza nella vicenda musicale della band: da una parte si è raggiunto il miglior equilibrio possibile delle molteplici suggestioni sonore che da sempre caratterizzano il sound dei Jethro Tull, dall’altro si è creato un precedente per le tendenze di Anderson alla diversificazione delle melodie, alla complicazione degli arrangiamenti e alla moltiplicazione delle strutture. Queste tendenze progressive segneranno in modo decisivo i dischi immediatamente successivi, a partire da “Thick As A Brick” fino a “A Passion Play” e “Minstrel In The Gallery”.
Il successivo brano si intitola “Hymn 43” e prosegue con la satira contro la religione e le sue strumentalizzazioni. È un semplice rock-blues di impianto tradizionale, ma la sua collocazione dopo i sette minuti di “My God” serve a stemperare la tensione. Lo si potrebbe quasi considerare come una “coda” al pezzo precedente, di cui tra l’altro riprende i temi, un semplice inno finale a chiudere una rappresentazione teatrale. La successiva “Slipstream” è un brevissimo quanto affascinante brano per chitarra acustica e voce sul tema della morte, arricchito da un lieve intervento di violini.
“Locomotive Breath”, vero e proprio must delle esibizioni dal vivo, riassume in sé tutta la vena hard-rock dei Jethro Tull ripetendo tutte le idiosincrasie di Anderson riguardo al genere: introduzione di flauto, riff sincopato, ritmo di marcia, arresti improvvisi della batteria, canto istrionico e nasale.
L’album si chiude con “Wind Up”, ballata per pianoforte e voce, con sezione centrale in “ensemble”. La voce narrante ricorda l’infanzia e riporta in primo piano tutti i nuclei tematici del disco: la condizione dei “falliti”, la religione come strumento di potere, le ipocrisie della piccola borghesia inglese e, infine, la fede come fatto intimo ed esclusivamente personale, non assoggettabile alle regole del sistema millenario delle Chiese, che arrivano a dire quando e dove sia meglio pregare: “He’s not the kind you have to wind up on Sundays” ovvero, traducendo un po’ liberamente: “Non è il caso di disturbarlo di domenica”. La chiusura è affidata proprio a questa frase, su accompagnamento di pianoforte.
La parabola dei Jethro Tull non è ancora conclusa, e sebbene i loro lavori più recenti non possano competere con i dischi degli anni ’70 sono certamente fra le band meglio invecchiate nella storia del rock. Le esibizioni dal vivo del Jethro Tull sono tuttora di grande spessore e ripropongono sempre una nutrita selezione di pezzi da “Aqualung”.

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Oltre a vicepresiedere come si conviene a un vicepresidente, ci guarda dall'alto dei suoi 192 cm. La foto non tragga in inganno.