Elvis Costello with Burt Bacharach “Painted from memory” (1998)

Elvis Costello with Burt Bacharach “Painted from memory” (1998)

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In onda tutte le sere alle 20e15 - 22e15 - 00e15

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1.ELVIS COSTELLO with BURT BACHARACH "In The Darkest Place"
2.ELVIS COSTELLO with BURT BACHARACH "Toledo"
3.ELVIS COSTELLO with BURT BACHARACH "I Still Have That Other Girl"
4.ELVIS COSTELLO with BURT BACHARACH "Such Unlikely Lovers"
5.ELVIS COSTELLO with BURT BACHARACH "Painted From A Memory"

Anno 1998: per la Mercury records esce “Painted from memory” l’album scritto e prodotto da Burt Bacharach ed Elvis Costello. Perché un musicista “rock” quarantenne che ha composto i suoi successi più famosi negli anni 80-90 improvvisamente si unisce a un compositore ultrasessantenne che negli stessi anni veniva considerato impresentabilmente kitsch? (ce lo vedete un fan di Costello and the Attractions che, dopo aver ascoltato “Everyday I Write The Book” fischietta “Raindrops Are Falling On My Head”?).
La storia più o meno è questa. Nel 1995, la regista Allison Anders era alle prese con il film “Grace Of My Heart”, liberamente ispirato alla storia di Carole King. Con il direttore della colonna sonora, Larry Klein, ebbe un’idea interessante: mettere insieme musicisti che avevano realmente vissuto l’epopea del Brill Building (la formidabile sede newyorkese di tante case discografiche negli anni 50-60, citata nel film) e artisti contemporanei influenzati da loro. Ecco quindi la coppia Bacharach-Costello.
In una intervista a Vanity Fair, la Anders disse che in particolare le serviva una “canzone tipo quelle che Burt Bacharach scriveva per Dusty Springfield, ma che doveva esprimere la perdita subita dal personaggio del film, reduce da una love story disastrosa…”. I tempi erano stretti, Bacharach in California e Costello a Dublino, ma entrambi accettarono la proposta. In realtà i due non si incontrarono mai, comunicarono per telefono, fax, corriere; alla fine il risultato fu “God Give Me Strength” e una vicendevole soddisfazione.
Da questa esperienza nacque l’idea di creare un intero album insieme, con canzoni scritte, prodotte ed eseguite dai due musicisti: Elvis Costello alla voce, Burt Bacharach al piano, direzione d’orchestra e arrangiamenti. E che arrangiamenti… la cifra stilistica timbrica verrà molto influenzata da Bacharach: alla fine verranno scelti più di 70 musicisti per suonare una gamma di strumenti degna di un’orchestra sinfonica (forse manca il basso tuba e poco altro).
In un’intervista a “Musician”, così Costello commenta il rapporto con Bacharach nella composizione dei brani: “Ho contribuito anch’io alla scrittura della musica, ma quando il pezzo decolla veramente, soprattutto nel motivo principale, lui ingrana una marcia che non conosco; il risultato è quel senso di oscurità che è nella sua musica e che io riconosco nelle mie corde: c’è quel senso di “dubbio” anche nelle sue canzoni più solari, che rende la sua musica senza tempo”.
In effetti non si può certo definire semplice la scrittura musicale di Bacharach: il suo stile è celebre per diversi aspetti: la complessità dei tempi, molto diversi dai “soliti” 4/4 comuni nella musica pop (abbondano i 12/8, 6/8 etc etc), variegati anche all’interno della stessa canzone (caso-limite la canzone degli anni 60 “Promises Promises”, con cambi di tempo anche ogni due battute per la delizia di cantante ed interpreti). Non parliamo poi degli accordi “strani”, diminuite etc e dell’arrangiamento “lussureggiante”, che però conserva sempre leggerezza ed eleganza.
La cifra di Costello è sicuramente molto diversa, però non gli si può certo negare un genuino talento per la costruzione di melodie efficaci, né per la capacità di creare atmosfere sottili e seducenti nelle sue “ballad” più famose (si pensi per esempio ad “Alison”, “She” e molte altre che possono essere considerate pezzi quasi senza tempo). Se lo stesso Costello attribuisce a Bacharach “una marcia in più”, il frutto delle fatiche congiunte ha comunque guadagnato non poco dalla testa, dalla voce e dal cuore del primo. Infatti, storicamente, l’interprete preferito da Bacharach è sempre stato il cantante tecnicamente perfetto, ma spesso un po’ algido (per non fare nomi, un esempio: la grande Dionne Warwick. Fraseggio elegantissimo, intonazione adamantina, ottima estensione vocale ma forse un pochino troppo parca per quanto riguarda calore e anima). Con Costello cambia tutto: la sua voce è sensuale, imperfetta ma viva e calda, sa far intravedere il “sangue, sudore e lacrime” dei sentimenti di un uomo reale. Così il suo stile appare più impulsivo e immediato rispetto alle melodie cristalline di Bacharach, ma è sicuramente più vicino alla sensibilità contemporanea.
Dall’incontro di questi due artisti nascono le 12 canzoni dell’album, che parlano delle solite piccole grandi cose di tutti i giorni: l’amore, la vulnerabilità, l’incertezza, la solitudine… Il tutto filtrato da un lieve distacco, come spesso avviene nella vita reale. Dodici canzoni di “musica leggera” di difficile collocazione di genere in quanto non legate a un tempo, a una moda. Gli equilibri compositivi, i colori, l’atmosfera tendono a volte più verso lo stile Bacharach (una fra tutte: “Toledo”, con le trombe “alla Herb Alpert” di Casino Royale) a volte verso Costello (“My Thief”, “I Still Have That Other Girl”), ma rappresentano sempre una miscela irresistibile tra l’intelligenza e l’anima di due persone che si sono incontrate forse riconoscendo l’una nell’altra un frammento di sé.
E’ tempo di confessioni. Io di musica non ci capisco molto. Ammettiamolo, uno che fino a pochi anni fa pensava ad Astor Piazzolla come al Raoul Casadei argentino, a Sinatra come a un cantante per mamme nostalgiche e a Burt Bacharach come a una via di mezzo tra James Last e Jimmy Fontana parte in salita e non merita una grande considerazione. Ora, di Piazzolla e Sinatra forse un giorno scriverò, con Bacharach la remissione dei peccati iniziò nel 1998. “E’ uscito qualcosa di interessante?” chiesi ignaro al mio negoziante di fiducia, “Sì, questo” fu la risposta e partì “In The Darkest Place”, una linea melodica bellissima, intelligibile al primo ascolto eppure piena di sfumature con un’orchestrazione elegantissima ma anche calda e vibrante, poi la voce di Costello piena di miele ma al contempo rugginosa e metropolitana. E’ raro che lo dica, emozionante. Segue “Toledo”, più brillante ma meno malinconica e stupefacente, poi il miracolo di “I Still Have That Other Girl”, una grande interpretazione di Costello su un pezzo che unisce una melodia apparentemente semplice ma che perfora le nostre emozioni con un’orchestrazione e un arrangiamento da brivido. Alla fine del brano avevo già tirato fuori il portafoglio…
Gli altri nove brani sono tutti di qualità eccelsa, inutile forse entrare in troppi dettagli, tutti godono di una scrittura felicissima, pieni di intuizioni melodiche straordinarie e di una ricchezza francamente inarrivabile per quasi tutti gli altri autori, ispessite e drammatizzate dall’interpretazione di Costello, co-autore di tutti i brani, e portate a noi mortali da arrangiamenti straordinari, sia si battano ipotesi lievemente screziate di jazz (“Tears At Birthday Party”), sia nei piccoli psicodrammi di tenue lirismo (“My Thief”, “This House Is Empty Now”, “Painted From Memory”, “God Give Me Strenght”) sia in brani di scrittura più spumeggiante (“The Sweetest Punch”, “Such Unlikely Lovers”).
Non si pensi minimamente a un disco solo di raffinata levigatezza: c’è il cuore e il sangue del creare musica in questo disco, c’è una concezione altissima della musica popolare, una cifra stilistica enorme, c’è un pensare musica nel senso più nobile, c’è un contatto con la bellezza semplice e fluido che te ne trovi immerso senza accorgertene. Le canzoni di “Painted From Memory” partono da elementi semplici, ma finiscono per essere piccole cattedrali, magia precedentemente rilevata solo nei brani degli Steely Dan.
Bacharach e Costello sembrano dire che fare buona musica è semplice, basta mettersi al piano e creare una bella melodia. Basta avere talento. Altrimenti le cose si fanno molto complicate e allora bisogna inventarsi qualcosa d’altro, e il mondo della musica, in fondo, è pieno di questo qualcosa d’altro. Un disco di pop, certo. Ma forse il più bel disco pop di tutti i tempi, in lotta con altri due o tre.

di Michele Chiusi, Patrizia Mammi

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Oltre a vicepresiedere come si conviene a un vicepresidente, ci guarda dall'alto dei suoi 192 cm. La foto non tragga in inganno.