Siamo sicuri sia informazione?

Siamo sicuri sia informazione?

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Molti sono stati i commenti al video, divenuto virale in rete, del pestaggio conclusosi con l’omicidio del giovane Nicolò Ciatti in una discoteca spagnola. La condanna per l’insulso barbarico gesto si mescolava con l’indignazione per la morbosa curiosità di chi era presente senza intervenire, ma si limitava a guardare (e filmare) come se l’orrore non fosse altro che la scena di un videoclip di cui sei chiamato ad essere solo spettatore. Senza nessun tipo di coinvolgimento personale, né materiale né morale.

Attenti commentatori hanno fatto accurate e raffinate analisi dell’accaduto. In un mondo con informazioni senza filtro che si riversano su di noi si diventa più indifferenti e in ultima istanza paurosi e più vigliacchi (Piero Colaprico da Repubblica). L’indifferenza e la deresponsabilizzazione sono evidenziate da Ferdinando Camon su La Stampa, facendo una sottile distinzione tra pubblico e folla: il pubblico talora sulle scene di violenza si ritrae, la folla vuole vedere. È una sorta di partecipazione senza essere responsabili.

Io credo che il filo conduttore tra le varie analisi possa essere la crescente esigenza di emozioni forti, adrenaliniche. Ed i mezzi di comunicazione, tutti i mezzi di comunicazione dai social network alle testate giornalistiche (non vi è grossa testata che non abbia sul proprio sito il link con il video dell’omicidio) diventano spacciatori di emozioni forti, pronti a intercettare una domanda in tal senso. O a fomentarla?

Credo anche che la volontà di trasmettere emozioni forti prevalga spesso sul sacrosanto diritto ad informare ed essere informati. Prendete ad esempio l’intervista al padre dello sventurato ragazzo che è andata in onda sul GR2 delle 13 del giorno di Ferragosto, con primo piano dell’occhio comprensibilmente umido e la voce rotta dal dolore. Intervista lunga, primo piano inesorabile. Riflettendo sul fatto che il genitore non era presente all’accaduto, quale informazione di un certo rilievo poteva dare? Ma lo scopo non era quello puramente informativo, era l’offerta dell’emozione forte che nasce dalla visione del dolore comprensibilmente terribile di un padre che perde un figlio 22enne. Anche questo porta ad assuefazione, con richiesta di spettacoli sempre più adrenalinici.

Anche in questo caso passa un’informazione senza filtro: quello del buon gusto.

[sdp] 16/08/2017

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