Eagles “Desperado” (1973)

Eagles “Desperado” (1973)

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In onda tutte le sere alle 20e15 - 22e15 - 00e15

Ascolta il Disco Base della settimana

1. EAGLES "Doolin Dalton"
2. EAGLES "Twenty One"
3. EAGLES "Tequila Sunrise"
4. EAGLES "Desperado"
5. EAGLES "Certain Kind Of Fool"

discobase-fb-logoGli Eagles sono stati, e lo sono tuttora dato che continuano a fare concerti, uno dei gruppi più importanti e celebri della storia del rock. Basta pensare al loro album “Hotel California”, dalle vendite mostruose che segnò il loro apice ed anche il loro rapido declino, a causa di droga, alcool e dissidi interni che portarono allo scioglimento all’inizio degli anni ’80.
“Hotel California” è la loro opera più celebrata dato che vendette e continua a vendere tantissimo ancora oggi, entrando a far parte dei cinque o sei dischi più venduti di sempre, però è anche il loro album forse più snob, dove l’alchimia di gruppo era già minata da problemi vari, mentre qualche anno prima erano artefici di un country rock delizioso, con ballate malinconiche ma efficaci e brani rock stupendi, caratterizzati da un’armonia vocale invidiabile, degna se non superiore a Crosby, Stills, Nash e Young.
Gli Eagles nacquero dall’unione di quattro ragazzi provenienti dai quattro angoli degli States, tutti con il sogno di sfondare nel mondo della musica, tutti provenienti da esperienze musicali più o meno soddisfacenti. Glenn Frey, Don Henley, Bernie Leadon e Randy Meisner per motivi diversi andarono a cercar fortuna a Los Angeles all’inizio degli anni ’70 e, dato che spesso e volentieri frequentavano vari locali della zona tipo il Troubadour, si conobbero e dopo aver partecipato come gruppo spalla a Linda Ronstadt decisero di mettersi in proprio e formare una band. Nel 1972 uscì il loro primo album “Eagles”, che riscosse un discreto successo con i singoli “Take it Easy”(scritto con la partecipazione di Jackson Browne, grande amico di Glenn Frey e che diventerà lui stesso un grande cantautore), “Whitchy Woman” e “Peaceful Easy Feeling”, prodotto dal grande Glyn Johns, già collaboratore di Who e Rolling Stones, che portò le aquile a Londra per registrare la loro opera prima. Amato e odiato in maniera contrastante dalla critica, il disco di debutto fù comunque un buon esordio, che consentì loro di farsi conoscere al mondo intero.
Il loro secondo album dal titolo “Desperado” (e secondo me il loro migliore), fù pubblicato nell’aprile del 1973, sempre con la partecipazione di Johns e sempre registrato a Londra, agli Islands Studios. Si tratta di un concept album, una saga ambientata nel selvaggio Far West, che racconta la storia della banda di Bill Doolin e dei fratelli Dalton, fuorilegge e rapinatori di banche nel Kansas di fine ‘800. Venne a Fray l’idea, dopo aver letto un libro che narrava queste storie, regalatogli da Browne. L’album non ebbe subito un grande successo anche se conteneva tra le migliori canzoni mai scritte dalle aquile, ma fu rivalutato nel tempo, diventando disco di platino.
L’opera si apre con “Doolin-Dalton”, una delle loro tracce migliori, un pezzo malinconico e dolce che parte con un’ armonica emozionante sorretta da un giro di chitarra acustica, dove la band sfodera la sua bravura nell’armonizzazione vocale. Vengono introdotte qui le imprese della banda Doolin-Dalton, spietati banditi che seminavano terrore nei villaggi del Kansas. Sono molto legato a questo pezzo perché lo facevo con il mio gruppo, nel medley acustico con “Have you ever seen the Rain” dei Creedence e “Listen to the Music” dei Doobie Brothers, bei tempi quelli!! Dopo questo inizio emozionante è la volta di “Twenty-One”, brano scritto da Leadon dove banjo e dobro la fan da padrone, sorreggendo questa mini suite bluegrass. I 21 sono gli anni di questo ragazzo che assapora la libertà e che non capisce perché dovrebbe mai morire a quell’età. Neanche il tempo di sfumare il brano che arriva “Out of Control”, pezzo decisamente più rock ‘n roll, duro e tagliente, con chitarre elettriche e ritmo indiavolato, ottimo per introdurre due ballate magnifiche, dove si vede tutto il talento dei quattro; la prima è “Tequila Sunrise”, ballata dolce e sognante che fù il primo singolo estratto dal disco, arrivando al 41° posto (solo??) nelle charts americane. Malinconica, questa ballata folk fa subito pensare a strade polverose e tramonti assolati, diventando uno dei pezzi più suonati dal vivo dalla band. Uno dei momenti migliori del lavoro e la successiva “Desperado”, una canzone di speranza dove il protagonista è un uomo ferito dalle esperienze d’amore del passato e che ha paura di amare nuovamente. All’intro di pianoforte si aggiungono poi batteria e chitarra, facendola diventare una ballata meravigliosa ed esaltante. La canzone fù poi interpretata nel corso degli anni da vari artisti pop e soul ma non riuscirono mai ad ottenere la perfezione degli Eagles nell’eseguirla. Seguono poi una canzone cantata da Meisner, “Certain kind of Fool”, un buon brano country rock nello stile Buffalo Springfield, e “Doolin-Dalton instrumental”, dove la band si scatena in una breve versione strumentale del brano di apertura, in cui spicca il banjo di Leadon. A seguire “Outlaw Man”, dove si trova un buon intreccio tra chitarre elettriche ed acustiche che la rendono un bel pezzo d’impatto, e “Saturday Night” una serenata dominata dal mandolino di Leadon in stile tex-mex, delicata e suggestiva, pezzo forte nei live degli anni futuri.
Bernie Leadon firma la canzone successiva, “Bitter Creek” (il nome deriva da un membro della banda fuorilegge), un pezzo dalla struttura robusta dove il chitarrista tiene fede al suo amore per il country rock. Leadon infatti fù un pioniere del genere, avendo fatto parte dei Flying Burrito Brothers, band capitanata dal grande Gram Parsons.
Chiude il disco “Doolin-Dalton Reprise”, mix finale delle due canzoni guida dell’album, medley dove ancora viene dato ampio spazio alle armonie vocali che costituiscono il marchio di fabbrica della band. Senza dubbio un disco bellissimo e ben suonato, dove si nota la mania di perfezione della coppia Henley-Frey, un album spesso sottovalutato ma che consiglio di sentire perché tra le opere migliori delle aquile!!

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Oltre a vicepresiedere come si conviene a un vicepresidente, ci guarda dall'alto dei suoi 192 cm. La foto non tragga in inganno.