Il teatro sociale di Mantova – seconda parte

Il teatro sociale di Mantova – seconda parte

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storie, tradizioni, curiosità, lontane nel tempo

Andar per Mantova 14 Gennaio

Il primo impresario del Teatro Sociale fu Antonio Cuniberti che, per contratto, si impegnava a mettere in scena due opere, due balli e almeno quattro veglioni nel corso del carnevale 1823-24. Il prezzo del biglietto non doveva superare una lira e cinquanta per gli spettacoli d’opera e di ballo e una lira per i veglioni. I profitti del caffè, della trattoria e del casino da gioco erano a vantaggio della Società del teatro. Il pubblico aveva accesso alla platea e ai palchi del quarto e quinto ordine ( Loggione) in dotazione del Teatro. I palchi e i camerini del primo, secondo, terzo e parte del quarto ordine erano ad uso esclusivo dei proprietari che dovevano versare un canone alla Società.
I primi anni di attività del teatro furono caratterizzati da spettacoli lirici e di prosa di scarso valore artistico che corrispondevano ad un gusto ancora non ben definito. La delusione degli spettatori non di rado arrivava ad esprimersi in forme plateali, determinando veri e propri tumulti. Per tali ragioni, in un’epoca in cui le manifestazioni artistiche spesso si trasformavano in espressioni del sentimento antiasburgico, il governo austriaco regolamentò l’attività teatrale attraverso norme molto severe. Fu vietato agli estranei assistere alle prove ed accedere al palcoscenico, concedere dei bis, esprimere l’apprezzamento con applausi troppo calorosi, fare fischi e schiamazzi. La tensione tra la cittadinanza e l’autorità , all’epoca già molto alta, sfociava sempre più frequentemente in forme di protesta collettiva. Cresceva , in quegli anni, il fervore liberale, così il 18 marzo 1848, sulla scia di quanto stava accadendo nelle principali capitali europee, il Teatro Sociale diventò il punto di ritrovo dei patrioti mantovani: inghirlandato di tricolori e fazzoletti con i ritratti di Carlo Alberto di Savoia e di Pio IX, il teatro accolse una folla di manifestanti che inneggiavano, pieni di speranze, alla libertà. A tanto entusiasmo seguì la delusione per l’esito della prima guerra di indipendenza. Le ristrettezze e il clima di quel difficile momento indussero i vertici della Società a sospendere l’attività del teatro, decisione che provocò l’immediata reazione da parte delle autorità austriache che pretesero perentoriamente la sua riapertura. Allo svolgimento di una regolare attività teatrale veniva attribuito, infatti, un preciso valore politico: alle provocatorie pressioni del governo austriaco la cittadinanza rispose però con una nuova forma di protesta corale: l’astensionismo. I vari spettacoli proposti furono sistematicamente disertati , tanto che il governo, al fine di garantire un regolare afflusso di spettatori, arrivò a rendere obbligatorio agli impiegati dell’ amministrazione pubblica l’abbonamento alla stagione teatrale. Il clima politico si fece particolarmente pesante, tra il 1851 e il 1855, in seguito all’eccidio di Belfiore. Il governo austriaco, incurante dell’inquietudine della cittadinanza, continuava ad esigere che l’attività teatrale del Sociale si svolgesse regolarmente. Fu imposta un’apertura forzata del Teatro persino la sera stessa dell’esecuzione di Belfiore del 7 dicembre 1852. L’incasso fu di sette lire.

In una città sconvolta da arresti, intimidazioni, terrore l’ interesse per lo svago e l’intrattenimento era, ovviamente, inesistente. La compagnie e gli impresari, essendo al corrente di quanto stava accadendo a Mantova e della forma di protesta
adottata dai mantovani, disertavano la città, dando per scontato il fallimento di ogni iniziativa teatrale. Nonostante le gravi difficoltà finanziarie ed organizzative, la Commissione del teatro fu costretta comunque a promuovere una regolare attività teatrale, sulla quale la censura austriaca esercitò pesanti controlli, vietando gli spettacoli sospetti o manomettendo i libretti. Il teatro restò comunque chiuso per alcuni mesi dopo l’esecuzione di Pietro Fortunato Calvi, avvenuta il 4 luglio 1855.
I rapporti tra la cittadinanza e il governo asburgico rimasero, negli anni successivi, molto tesi e la Commissione teatrale finì per sospendere l’attività. Anche in questa occasione si rinnovarono le pressioni dell’autorità a favore della prosecuzione degli spettacoli, ma ormai i tempi erano cambiati.
Una modesta attività teatrale proseguì negli altri teatri cittadini, ma la sospensione dell’attività del Sociale produsse una grave crisi per tutti quegli operatori – orchestrali,coristi, macchinisti- che per anni avevano potuto contare sull’intensa attività lirica del teatro mantovano. E’ nel clima di polemiche determinato dall’inerzia della Società che si colloca la costruzione da parte dell’imprenditore Andreani di un nuovo teatro, inaugurato il 26 dicembre 1862. Il nuovo spazio teatrale sostituì egregiamente negli anni successivi il Sociale, le cui difficoltà amministrative impedirono sino al novembre 1866 la ripresa regolare dell’attività.

Poche settimane dopo la liberazione del Veneto e di Mantova, il 16 novembre 1866, il Sociale ospitò il re d’Italia Vittorio Emanuele II per la rappresentazione del Ballo in maschera di G. Verdi. La cittadinanza si riunì nella sala e davanti al teatro per acclamare il re ed inneggiare alla conquistata libertà in un teatro che era ormai diventato un simbolo dell’opposizione al dominio straniero. Qualche mese dopo il Sociale accolse anche Garibaldi che in quella occasione assistette al Trovatore. Due lapidi murate nella facciata ricordano tali eventi.
L’attività del teatro fu caratterizzata negli ultimi decenni dell’Ottocento da frequenti interruzioni determinate da problemi finanziari e amministrativi.
Il 10 e 11 novembre 1906 entrò per la prima volta al Sociale il cinematografo. La prima sala cinematografica della città fu aperta nel cortile retrostante il teatro, con accesso da corso Umberto I ( l’anno dopo fu aperto il Bios e nel 1909 l’Eden Cine Max).
L’attività teatrale fu sospesa durante il periodo bellico (1914 – 1918). In questi anni la sala del Sociale fu requisita dall’autorità militare che la adibì a magazzino di derrate alimentari. Finita la guerra, il Sociale fu riaperto per ospitare iniziative culturali di propaganda patriottica o di carattere benefico ( concerti, saggi ginnici, rappresentazioni teatrali, conferenze). Ben presto risultò chiaro che il pubblico mostrava ormai interesse soprattutto al cinema. Fu così che si introdusse una nuova forma di intrattenimento: l’avanspettacolo, cioè un intrattenimento teatrale brioso che veniva proposto al pubblico prima della proiezione del film:come dire che il teatro, per sopravvivere, fu costretto a far da cornice al cinema.
Solo attorno al 1936, quando sembrò profilarsi una certa ripresa economica, il pubblico mantovano tornò a riavvicinarsi alla lirica e alla prosa. Varie furono le vicende del teatro nei tempi della guerra . Possiamo ricordare che, nel periodo più buio, quando nella primavera del 1944 la città fu sconvolta dai bombardamenti aerei, il Sociale, dietro pressioni del comando tedesco, continuò a proporre spettacoli lirici alla cittadinanza. Dopo la liberazione, nel maggio 1945, il teatro passò sotto il controllo degli americani che lo utilizzarono come cinematografo. In seguito, la direzione del teatro ritornò al Condominio. Andato praticamente distrutto nei bombardamenti del ‘44 l’Andreani, e divenuto, di fatto, una balera il Teatro Scientifico, il Sociale rimaneva l’unico teatro funzionante nella città. L’attività cinematografica prevaleva comunque sulla lirica e sulla prosa.

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