A tavola con i mantovani di un tempo

A tavola con i mantovani di un tempo

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storie, tradizioni, curiosità, lontane nel tempo

Andar per Mantova 4 Febbraio

Si avvicina l’Expo e mi sembra inevitabile che anche Andar per Mn cominci a parlare di cibo.. E parlare di cibo, significa parlare di tutto quanto ruota attorno all’alimentazione, quotidiana od eccezionale, che da sempre è problema – o piacere – per ciascun essere vivente.
Dunque la tavola non significa solo cibo ma anche altre importanti attività ad essa connesse: l’organizzazione delle persone che si occupano di cucinare e servire, le stoviglie i recipienti la tovaglieria che serve per la tavola, il tipo di cibo e la sua preparazione e conservazione, i riti del consumare i cibi in un certo modo … Partiamo oggi dalla conservazione dei cibi, che, come si può immaginare, era un tempo ben più problematica di adesso, dopo il frigorifero.
Come sappiamo tutti i cibi, anche quelli cotti, secchi, insomma i più insospettabili, hanno una data di scadenza che indica il momento dopo il quale la loro integrità alimentare non è garantita. Eppure noi abbiamo frigoriferi, congelatori, vasi e buste sotto vuoto … per conservare i prodotti alimentari! E quando tutto questo non esisteva a conservare il cibo? Come risolvevano il problema prima dell’invenzione del frigorifero, del “sottovuoto”, del liofilizzato …? E in particolare, come se la cavavano i mantovani di un tempo per evitare la corruzione dei generi alimentari? Abbiate pazienza se la prendo un po’ alla lontana ma anche i mantovani di una volta, come tutti, si affidavano, e tuttora del resto si affidano, a quattro “”elementi””: ARIA SALE FUMO GHIACCIO e, ovviamente, ad ognuno corrisponde un metodo di conservazione dei cibi ESSICAZIONE, SALATURA, AFFUMICAZIONE, RAFFREDDAMENTO/ CONGELAMENTO
Insomma per evitare che carni, pesci, ma anche verdure, frutti, andassero a male e diventassero immangiabili o fonte di intossicazioni, li essiccavano, salavano, affumicavano o, quando era possibile, ricorrevano al freddo, alla conservazione tramite ghiaccio. Esistevano, infatti, antiche ghiacciaie, antenate dei nostri frigoriferi: erano pozzi per conservare la neve e il ghiaccio, che venivano compressi e coperti con paglia che li isolava dall’esterno. Nel Medioevo esistevano, soprattutto nel Nord Europa, nelle regioni alpine e prealpine in particolar modo, depositi di neve e ghiaccio e le proprietà conservative della refrigerazione erano note da tempo. Si trattava di locali – detti neviere, ghiacciaie, nevaie – spesso in pietra e isolati dalle escursioni termiche. Del resto già gli antichi romani utilizzavano la neve e il ghiaccio per conservare i cibi e per refrigerare le bevande, o per fare bagni gelati alle terme. La neve veniva portata in città dalle montagne, pronta per essere venduta o conservata nelle ghiacciaie in attesa di essere consumata. Le ghiacciaie erano fosse profonde riempite di neve e coperte da paglia che fungeva da isolante ed erano pensate in modo tale che se lo strato superiore di neve si scioglieva si sarebbe ghiacciato nuovamente scendendo verso il basso. In epoca medievale e rinascimentale i palazzi più importanti erano dotati di neviera o ghiacciaia dove veniva conservato per lungo tempo il ghiaccio e la neve dell’inverno. Questa riserva aiutava la conservazione di cibo fresco, come alcune tipologie di pesce o di carne. Nelle corti, i proprietari facevano costruire delle ghiacciaie rudimentali, alimentate con pezzi di ghiaccio provenienti dai ghiacciai della montagna, che, oltre alla conservazione del cibo, permettevano di costruire all’esterno giardini “freschi”.
I poveri avevano diritto a un pezzo di ghiaccio quando il dottore ne ordinava la necessità per le febbri gravi o altre malattie. Le ghiacciaie comuni, dove si conservava il ghiaccio da distribuire poi ai privati, sono rimaste attive fino all’avvento e alla larga distribuzione dei frigoriferi . La struttura della ghiacciaia è rimasta nel tempo grosso modo la stessa degli antichi romani: si manteneva l’isolamento termico grazie ai molti strati di terra di cui erano ricoperte e si sfruttava la neve fresca e pulita e il ghiaccio ammassati insieme.

Per arrivare a focalizzare la nostra attenzione su Mantova ricordo almeno tre “”ghiacciaie”” attualmente visibili. Anzitutto nel giardino di Palazzo Gazini, situato in via Guerrieri Gonzaga e ora sede dell’ Istituto Mantegna, si sono conservate integre le due ghiacciaie. Sono ambienti sotterranei e l’unica parte che emerge è l’accesso. Si scende tramite una scala a chiocciola e ci si trova in ambienti molti ampi, bui e freschi che un tempo dovevano conservare una grande abbondanza di cibi. Un’altra è nel giardino interno dell’ex Albergo Reale (Palazzo Barbetta) che ha l’ingresso in Via Cavour . Le stecche di ghiaccio però probabilmente venivano inserite nella ghiacciaia da una finestra laterale che si apriva sul limitrofo vicolo Albergo (il nome del vicolo deriva appunto dall’edificio a cui si allinea, un tempo adibito a lussuoso albergo).
Continueremo in seguito a parlare di cibo e, in particolare, di ciò che mangiavano i nostri più nobili antenati, ma oggi , data la lunga introduzione, è tempo di concludere. Cibi raffinati e poveri li vedremo con calma la prossima volta, utilizzando anche preziosi documenti d’archivio.. Perché, come vedete, il cibo ha molte storie da raccontare!

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