Convivium – Mangiare da Dio

Convivium – Mangiare da Dio

Condividi

7

Buongiorno e ben trovati a questo primo appuntamento con la nuova rubrica “Convivium”, attraverso la quale ogni settimana vi racconterò storie intorno al cibo, a famosi banchetti e a celebri ghiottoni. Una trasmissione che vuole, nel suo piccolo, celebrare e supportare la designazione del territorio di Mantova (insieme a quello di Bergamo, Brescia e Cremona) come “Regione Europea della gastronomia” per l’anno 2017.

Non vi narrerò però solo storie strettamente mantovane o lombarde. Spazierò anche al di fuori di queste province, ricercando curiosità, spolverando aneddoti e gettando qualche luce su ingredienti e sapori in disuso o dimenticati, attingendo sia dalla cucina povera sia di quella sontuosa.

Per la prima puntata di “Convivium” inizierò proprio da una ricetta connessa alla tavola dei ricchi. Anzi, alla tavola dei Papi: un vero “mangiar da Papi” o, se volete, un “mangiare da Dio”.

L’ingrediente da gestire è l’anguilla, pesce che da sempre ha goduto di attenzione, a cominciare dagli egizi che la reputavano sacra e la allevavano in appositi acquari; poi i greci, che la contemplavano come figlia di Zeus e, infine, i romani che la cucinavano secondo un prontuario di ricette create su misura e che la ritenevano immancabile nei migliori banchetti. Venendo un po’ più verso i tempi moderni troviamo che l’anguilla è una ghiottoneria per le tavole pontificie e, addirittura, fu la causa della morte del papa Martino IV.

Questo Papa, più che per il suo impegno pastorale (che pare fosse disastroso), è  infatti ricordato dai libri di storia per il suo notevole appetito, nonché per l’essere morto in seguito a una indigestione di anguille. Tale fama non sfuggì neppure a Dante, che pose Martino IV nel Purgatorio a scontare la sua ingordigia e la sua passione per le anguille del lago di Bolsena e per la vernaccia, il noto vino dell’Italia centrale.

“Ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia / dal Torso fu, e purga per digiuno / l’anguille di Bolsena e la vernaccia”. E’ questo è il verso della Divina Commedia che descrive il grasso e voracissimo Papa. Molti commentatori dell’epoca sembrano concordare con Dante sulla sua personalità. Per esempio Iacopo della Lana lo dipinge così: “Fu molto vizioso della gola e per le altre ghiottonerie nel mangiare ch’elli usava, faceva tòrre l’anguille dal lago di Bolsena e quelle faceva annegare nel vino alla vernaccia”.

L’usanza, quindi, era quella di gettare le anguille vive dentro al vino prima di arrostirle. Per questi tipo di pesce, considerato di natura troppo fredda e umida, i medici di quel tempo consigliavano tale trattamento affinché il vino, di natura calda e secca, potesse penetrare bene in tutto il corpo del pesce e dare inizio a un processo benefico.

Altri scrittori, raccogliendo le dicerie delle male lingue che attribuivano la causa della morte di Martino IV a una solenne scorpacciata, ci confermano  quale fosse il modo usato dal papa per cucinare le anguille e come quella pietanza avesse contribuito alla sua fine. Il Novati gli attribuisce addirittura questa frase: “Vorrei che i Tedeschi fossero pesci, e la Germania un lago di Bolsena, per poterli mangiare come altrettante anguille”. Nessuna meraviglia, dunque, se alla morte del Papa fu scolpito il seguente epitaffio sulla sua tomba: “Gioiscono le anguille perché giace qui morto colui che, quasi fossero colpevoli di morte, le scorticava”.

Certo, molti sono stati i Papi golosi, tuttavia la nomea di Martino IV viene sottolineata più di altri. Forse anche perché nel medioevo l’anguilla rappresentava, per la sua forma di serpente, una ghiottoneria proibita, simbolo del peccato originale. Vien da sé, allora, che la sfrenata preferenza del Papa per questo cibo sia divenuta occasione di scandalo. A ogni modo Martino IV morì in breve, vittima della sua stessa voracità. “Morte per chiara grassezza (…) e indigestione del saporito pesce di lago”, recitano le cronache del tempo, oltre a raccontare come la sua obesa salma fu preparata per il cerimoniale funebre, dopo essere stata ben lavata con vernaccia di eccellente annata, scaldata e aromatizzata con erbe e aromi speciali secondo una ricetta segretissima dello speziale e del farmacista papali.

Passiamo però a dare la ricetta dell’anguilla alla vernaccia alla moda di Martino IV.

Prendete l’anguilla viva e annegatela nel vino, naturalmente della buona vernaccia. Se proprio non ci riuscite prendetela già morta e mettetene i pezzi a marinare nel vino, che ricopra bene il pesce. Al vino si possono aggiungere erbe aromatiche, come alloro e rosmarino, del pepe e qualche spicchio di aglio. Deve trascorrere almeno una notte. Dopodiché scolate il pesce e insaporitelo con olio, limone e sale. A questo punto può essere arrostito e, se si usa uno spiedo, alternate i pezzi del pesce con foglie di alloro.

Come variante per la cottura, i pezzi di anguilla possono essere soffritti con strutto (secondo la ricetta antica, oppure olio), insieme ad aglio e cipolla, e qualche cucchiaiata della marinata. Alla fine, salare e speziare con pepe e zenzero. Servite quindi i tocchetti d’anguilla su di un piatto caldo, ricoperti della loro salsa alla vernaccia fatta magari addensare con un po’ di farina.

Buon appetito e a risentirci la settimana prossima!

 

@Convivium_RB

Immagine: “Il banchetto dei sensi”, miniatura del XI sec. dal “De Universo” di Rabano Mauro, Montecassino

Condividi