Inti Illimani “2 – La nueva cancion chilena” (1974)

Inti Illimani “2 – La nueva cancion chilena” (1974)

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Inti Illimani
“La nueva cancion chilena”, 1974 (I Dischi dello Zodiaco)
World, Folk

di Paolo Patria

Cosa rimane di un inno, di un canto di lotta, dopo essere stato gridato per anni nelle piazze, dopo aver visto infrangersi la lotta per la libertà?
Cosa ci trasmette oggi un brano che i manifestanti alzavano nelle strade di mezzo mondo, quando negli occhi c’erano ancora i volti di Salvador Allende, di Victor Jara, degli assassini di Pinochet, del papa che si affacciava a quel balcone, dei ragazzi torturati e scomparsi?
Erano anni nei quali la musica cilena stava conquistando il mondo e i suoi gruppi facevano tournée in Europa. Al momento del golpe militare, quelle note risuonavano in Francia con i Quilapayun, in Italia c’erano gli Inti Illimani.
La violenza dei militari spazzò via la democrazia, come avvenuto in tanti paesi del sudamerica che hanno pagato carissima la loro vicinanza agli Stati Uniti. Chi ha vissuto quegli anni oggi sorride amaro quando vede gli Usa presentarsi come difensori della libertà (mentre un dei più grandi giornalisti viventi, Julian Assange, muore lentamente in prigione da anni).
Il feroce golpe dell’11 settembre 1973 accese l’interesse per il Cile e portò a un successo di massa della musica di quel paese. L’impatto emotivo era fortissimo e contribuì a quell’affermazione, ma l’ascolto di quegli album – che oggi possiamo trovare negli scaffali della World music, ma che all’epoca era un misto di tradizioni popolari, grandi autori e militanza – conferma la qualità altissima di questi dischi.
Il golpe è dell’11 settembre 1973. L’anno dopo usciva ‘La nueva canciòn chilena’ degli Inti Illimani che farà esplodere in Italia il successo di un inno diventato immortale, ‘El pueblo unido jamàs serà vencido’. L’album ha una schiera di autori che lascia senza fiato, con una successione di canzoni straordinarie, dolorose, indimenticabili, con profonde radici nella tradizione popolare del paese, riuscendo a mostrare la ricchezza di un movimento che sarà in parte spento dai crimini di Pinochet. Le canzoni sono firmate da Victor Jara, catturato al momento del golpe, torturato in modo feroce nello stadio/cimitero di Santiago, al quale i militari spaccarono le mani per poi irriderlo dicendogli di suonare. E Victor Jara, si racconta, prese la chitarra e suonò, prima di essere ucciso. Ci sono capolatori di Violeta Parra, morta suicida pochi anni prima, nel 1967. Brani di Pablo Neruda, morto pochi giorni dopo il golpe in un ospedale di Santiago dove era ricoverato, probabilmente ammazzato dagli assassini di Pinochet. Brani di Sergio Ortega che riuscì a salvarsi, trovando rifugio in Francia.
Le strumentali ‘Tocata y Fuga’ e ‘Calambito Temucano’, il lancinante ‘Corazòn maldido’, la dolcissima ‘Run run se fue pa’l norte’, ‘Exiliada del Sur’ (anche di Patricio Manns), ‘Lo que màs quiero’ (con Isabel Parra) sono i brani che portano la firma di Violeta Parra. Di Victor Jara sono ‘El aparecido’ e ‘La partida’. Il nome di Pablo Neruda lo troviamo in due canzoni, insieme a Sergio Ortega: ‘Asi como hoy matan negros’ e ‘Ya parte el gaglo terrible’. Sempre Ortega firma, insieme ai Quilapayun, firma l’inno di ‘El pueblo’.
Jorge Coulon (nel disco firma ‘Chile herido’ con Luis Advis) è l’unico musicista rimasto nel gruppo della formazione degli Inti Illimani degli anni Settanta. Mi capitò di parlargli, una quindicina di anni fa, gli Inti Illimani proseguivano le loro tournée nel nostro paese. Disse che non voleva che gli Inti Illimani diventassero un gruppo di nostalgici. Fu per quello che parlammo di questo inno, perché sembra difficile non essere nostalgici se in tutti i concerti non manca mai ‘El pueblo…’.
“In Italia non possiamo non farlo – rispose -. Negli anni Ottanta era diventata una canzone di moda. E oggi non c’è manifestazione in Messico, in Brasile, in Nicaragua dove la gente non canti questa canzone. Ha acquistato una dimensione universale e noi ci sentiamo un po’ responsabili”. Gli chiesi se la suonavano ancora come negli anni Novanta. “No – replicò Coulon -, abbiamo fatto un piccolo trucco musicale. La iniziamo in modo molto malinconico, trasportandola fino ad oggi dal passato. Senza l’inizio trionfalistico acquista tutto un altro significato, viene da lontano”.
Mi ha fatto pensare a una ninna nanna per il pueblo unido, perché entri nel cuore.
Un seme pronto a risvegliarsi come il canto che si accende nel finale, un sogno pronto a risvegliarsi domani.

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Nato nel 1961, infanzia con Canzonissima, adolescenza con Pink Floyd e Genesis, anni finali del liceo con Radio Base. Dopo un lungo periodo di ascolto di musica a corrente alternata, sente se stesso dire che quella di una volta era migliore. Ne resta così sconcertato da avviare il tentativo disperato di recuperare i capolavori che certo devono esserci nei decenni più recenti. Riemerge da questa immersione con l’opera completa dei Radiohead, una sana passione per i Rem e vari innamoramenti, dai Sigur Ros agli Awolnation, dai Coldplay agli Arcade Fire fino una raffica di singole canzoni di disparati interpreti, confermando il caos dei suoi gusti. L’esperienza con Radio Base, vissuta negli anni d’oro delle antenne libere, è stata talmente entusiasmante che non resiste al richiamo della web radio. Intanto lavora come giornalista al Resto del Carlino di Reggio Emilia, è appassionato di storia mantovana e romana, dei tempi di Radiobase gli è rimasta l’appartenenza al Collettivo Duedicoppe, al cinema si commuove vedendo Jodorowsky’s Dune e Titane e non capisce bene perché.