La sfacchinata del modello

La sfacchinata del modello

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Il S.Sebastiano del Bonsignori per il santuario delle Grazie

Pareri Rudi-mentali

Il pittore Francesco Bonsignori, veronese di nascita e veneziano di formazione, per oltre un ventennio servì la corte dei Gonzaga. Arrivò in città quasi per caso, per incontrare Andrea Mantegna, e non poté più andarsene. Venne, infatti, trattenuto dal marchese Francesco II, il quale notando e apprezzando immediatamente le sue qualità artistiche fece in modo che, per un intero ventennio, non ripartisse mai da Mantova.
Tra le numerose opere che dipinse in questo periodo ve n’è una con una storia particolarmente interessante. Si tratta di una tavola raffigurante il martirio di San Sebastiano, realizzata nei primi anni del Cinquecento per il santuario di Santa Maria delle Grazie e, ancora oggi, lì conservata.
Le immagini di San Sebastiano nell’epoca rinascimentale vengono perlopiù rappresentate nel momento del martirio, ovvero nel momento in cui il santo è trafitto dalle frecce. Sebastiano viene immortalato spogliato, coperto solo da un succinto perizoma, in modo da evidenziare meglio le sue carni infilzate dalle frecce. Per questo motivo, nel corso dei tempi, il soggetto è stato per numerosi artisti solo un pretesto per dipingere, con sensualità, la bellezza anatomica del corpo maschile nudo e adulto.
La curiosa storia che circonda il San Sebastiano del Bonsignori ce la racconta direttamente Giorgio Vasari, il capostipite della moderna storia dell’arte. Nel suo libro, pubblicato nel 1550, dedicato alle “Vite” dei più illustri artisti italiani, egli narra che, quando il marchese Francesco II andò a visitare lo studio del Bonsignori mentre realizzava questo dipinto, si permise di suggerire all’artista di prendere spunto da un bel corpo maschile, da un modello.
Il pittore rispose che il modello ce l’aveva già per quel San Sebastiano: stava imitando le belle forme di un ragazzo suo conoscente, che di mestiere faceva il facchino.
Il marchese, tuttavia, protestò, asserendo che le forme che andava dipingendo non erano coerenti con la storia di San Sebastiano. Il modello doveva essere sì bello, ma anche esprimere la sofferenza del martirio dato dalle frecce. Al contrario, quel quadro rappresentava, e rappresenta oggi, un Sebastiano sereno ed estatico, per nulla intimorito e indolenzito.
Per il marchese l’espressione doveva essere più verosimile, tirata e dolente, con quel timore che dovrebbe essere ovvio per un uomo legato e prossimo alla morte. Propose quindi al pittore di poter egli stesso dimostrargli quale fosse l’espressione adeguata da rappresentare.
Il Bonsignori accettò di buon grado questa idea e il Gonzaga lo pregò di farlo chiamare quando il modello sarebbe stato di nuovo nello studio del pittore.
Il giorno seguente, dopo che il facchino venne legato con le mani dietro la schiena, così come lo si stava ritraendo, fecero chiamare segretamente il marchese. Quest’ultimo apparve all’improvviso nella stanza, tutto infuriato, con una balestra carica in mano e, correndo alla volta del facchino gridò: «Traditore, sei morto! Adesso che ti ho trovato non hai scampo!».
Il ragazzo sorpreso dall’incursione e udendo quelle parole si impaurì, cominciò a dimenarsi come un forsennato per cercare di liberarsi dalle funi che lo legavano e nel suo viso apparve l’espressione terrorizzata di una persona prossima all’orrore della morte.
A quel punto il marchese disse al suo pittore: «Ecco come dovrebbe essere l’espressione di un San Sebastiano. Ora sei autonomo nel finire il quadro!».
Eppure, il marchese non venne accontentato. E il sensuale San Sebastiano di Francesco Bonsignori del santuario delle Grazie porta, ancor oggi, la sua espressione beatamente serena e sensuale.
[rudy favaro]

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