L’arte di farsi mantenere

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Vicende mantovane di Pietro Aretino e la sua svolta sessuale

Pareri Rudi-mentali

Pietro Aretino, poeta e scrittore del Cinquecento, è oggi conosciuto soprattutto per i suoi “Sonetti lussuriosi”, componimenti esplicitamente erotici e osceni. Fu un uomo senza tanti scrupoli, che metteva spesso la sua penna e la sua presenza al servizio di chi meglio lo pagava o meglio poteva assicurargli protezione.
Così, nel 1526, dopo che il suo mecenate Giovanni dalle Bande Nere veniva mortalmente ferito a Governolo, l’Aretino chiese ospitalità a Federico Gonzaga. Il Marchese accettò e il letterato si accasò per alcuni mesi a Mantova, durante i quali scrisse con una fecondità sbalorditiva e prodigiosa.
Verso la fine dell’anno l’Aretino, che nei componimenti satirici era un maestro, non mancò di fare la sua “pasquinata”. Mise cioè in circolazione un pronostico per il nuovo anno, dedicato a Federico Gonzaga, nel quale, dopo aver annunciato l’invasione da parte di orde tedesche, si divertiva a sfottere Papa, cardinali, prelati e, non ultimo, il Marchese stesso. Inutile dire che il Papa si offese molto e chiese spiegazioni a Federico, il quale rispose di non saperne nulla e di aver già licenziato quel cialtrone di Aretino. Non solo: il Marchese si offriva anche di farlo ammazzare, in un modo sicuro e discreto, cosicché la notizia non trapelasse.
Nulla di nuovo per l’Aretino. Oramai più volte si era ritrovato nella situazione in cui i suoi protettori prima lo accarezzavano, poi lo pagavano e, infine, gli preparavano il pugnale. E, con tecnica già affinata, il poeta partì rapidamente da Mantova, trovando rifugio a Venezia.
Federico era molto arrabbiato; ma l’Aretino, dal canto suo, voleva far pace. Egli sapeva bene che un buon modo per mantenere l’amicizia è quello di inviare dei regali. E da Venezia spedisce al Marchese di Mantova non solo componimenti poetici ma anche bellissimi vetri di Murano e altre preziose opere d’arte, tra cui dei dipinti di Tiziano e una Venere scolpita dal Sansovino, che venne descritta da chi la vide come «sì vera e sì viva che empie di libidine il pensier di ciascun che la mira».
Il Marchese non poté far altro che perdonarlo. Ricambiò inviandogli in dono una ricca veste. E anche una cinquantina di scudi: Federico conosceva bene il suo pollo, sapeva quanto egli fosse scialacquatore e come avesse costantemente bisogno di denaro. A quel punto la pace era fatta e l’Aretino poteva puntare al ritorno presso la corte dei Gonzaga. E così, infatti, avvenne.
Il rientro a Mantova segnò per il poeta una svolta epocale dal punto di vista sessuale. Fino ad allora egli s’era sempre pubblicamente vantato del suo essere sodomita. Ma, stando in città, nel febbraio del 1527, Pietro Aretino si invaghì di una donna affascinate, tale Isabella Sforza, che non mancherà di celebrare nei suoi licenziosi versi, rimarcando questo avvenimento come una novità assoluta per il suo modo d’essere.
In un sonetto, rivolgendosi ai ragazzetti che per diletto erotico frequentava, scrive loro di dedicarsi a Dio, che ormai egli è distratto da Isabella, e non è più interessato ai loro didietro:
«Luadate pueri Dominum, laudate
Hormai putti messer Domenedio,
poiché Isabella Sforza ha fatto ch’io
Ho car che l’uscio dietro mi serrate…».

E ancora, in un altro sonetto, si vanta di questa conversione sessuale così:
«Sia noto a ogni persona et manifesto
Come Isabella Sforza ha convertito
L’Aretin, da ch’ei nacque sodomito…».

Questo mutamento d’opinione, tuttavia, durò ben poco. Dopo appena qualche settimana l’Aretino si fa distrarre e s’invaghisce di un fanciullo mantovano, che i documenti indicano come “figliolo d’un Bianchino”. Il poeta ci proverà in tutti i modi a sedurlo e farlo suo. Chiederà anche l’aiuto del Marchese che, sorprendentemente, gli fece da mediatore, spiegando al ragazzo che giacere col poeta era un vanto. Ciononostante, quel ragazzo non parve per nulla lusingato da quel tipo di onorificenza e oppose invincibile opposizione.
[rudy favaro]

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