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Dopo il terremoto di domenica

Pareri Rudi-mentali

A seguito delle vicende occorse nell’ultimo fine settimana in Italia non me la sento di mandare oggi in onda il pezzo che avevo preparato, che parlava in tono scherzoso di alcune pitture collezionate dai Gonzaga. Lo terrò in serbo per un’altra volta.
In ogni caso, essendo questa una rubrica che tratta di questioni storiche mantovane, non voglio mancare all’appuntamento. Propongo, quindi, un modesto e timido excursus su alcuni devastanti terremoti storici che Mantova ha subito negli ultimi duemila anni. Nulla di catartico. Solo un rimembrare fatti, sempre dolorosi, talvolta catastrofici e luttuosi, che la città, i paesi e, soprattutto, i loro abitanti hanno subito e sopportato.
Per quanto riguarda il primo millennio, ovviamente, le fonti sono scarsissime. Alcuni episodi, però, sono stati censiti e tramandati nei secoli. Come il terremoto dell’anno 238, che viene definito spaventoso. O quello dell’anno 369, di cui poco o nulla sappiamo sulle conseguenze che portò a Mantova, ma che sicuramente fece crollare parte dell’Arena di Verona, causò uno tsunami nell’alto Adriatico e, addirittura, mutò il corso del fiume Piave.
Un altro sisma di proporzioni enormi, pare avvertito in tutta Europa, fu quello del 30 aprile 801, che causò distruzioni e morti. Un anno horribilis quello: i cronisti scrivono che l’estate fu freddissima, con ghiacci e neve fino a fine giugno.
Si passa poi al 3 gennaio del 1117, in cui la terra tremò in tutto il Nord Italia e nell’Appennino tosco-romagnolo. L’evento fu talmente disastroso che chi studia la storia dell’architettura sa dai manuali che, se è così difficile incontrare architetture anteriori all’anno Mille, è proprio per colpa di questo terremoto, il quale di fatto distrusse gran parte delle chiese, dei monasteri e degli incastellamenti. O, nella migliore delle ipotesi, costrinse a strutturali restauri. A Verona, per esempio, l’accumulo delle macerie determino l’innalzamento di tutta la città. Lo sciame sismico di quell’evento, con scosse anche molto violente, durò per più di quaranta giorni. Durante la prima grande scossa le acque del fiume Po si videro sollevarsi in alto a forma di volta e quindi ripiombare in basso. Forse proprio a causa di questo fenomeno mutarono le condizioni meteorologiche e, di lì a poche ore, avvennero orrendi temporali con tuoni e fulmini accompagnati da grandine.
Nel 1570 ci fu un lunghissimo periodo sismico, che dal 16 novembre si concluse, dopo sei anni, nel febbraio del 1576, facendo registrare oltre duemila scosse. L’area epicentrale, pare, fu tra Mantova e Ferrara. Si avvertirono rombi sotterranei, avvennero bagliori nell’atmosfera, si osservò il rigonfiamento improvviso delle acque del fiume Po con alterazioni del suolo e violente emissioni di acqua nerastra frammista a sabbia.
Il terremoto più famoso, però, per Mantova fu quello del 1693. Il 6 luglio tre intense scosse si avvertirono nel giro di un’ora. I comignoli caddero come birilli e alcuni edifici vennero giù del tutto.
La piccola chiesa che sorge in Piazza Canossa, intitolata alla Madonna del Terremoto, sta a ricordare proprio questo evento. Fu eretta nel luogo dove si trovava l’affresco, sulla facciata di una casa, che ritraeva la Madonna invocata dai Mantovani durante quel terremoto. L’attuale edificio, che risale alla metà del Settecento, venne costruito al posto di una precedente struttura in legno.
Sulle origini della devozione mantovana alla Madonna del Terremoto esiste un documento storico che narra i fatti che indussero i fedeli a costruire questa chiesetta. E cito qui la sua breve ma significativa storia.
«Degna cosa è da rimarcarsi in congiuntura di questo terremoto, cioè lo scoprimento d’una miracolosa immagine di Nostra Signora tenendo il bambino Gesù in braccio, a destra S.Giuseppe ed a sinistra S.Rocco. Ed ecco come ciò seguisse: Sulla Piazzetta dell’Albrisa, volgarmente oggidì del Canossa per il palazzo di questa nobile famiglia, abitava un certo Pietro de’ Stefani, sartore di mestiere in una casetta a pigione sull’angolo di essa piazzetta […]. Sul muro eravi dipinta un’imagine di Nostra Signora quasi inosservata perché smarrita di colori, esposta senza verun riparo alle acque pioventi. Pietro de’ Stefani trovavasi presso il muro della sua abitazione quando sentironsi le prime scosse del tremuoto e assicurò diversi circostanti spaventati che in quel sito egli non sentiva niente, invitandoli a rifugiarsi vicino al muro e raccomandarsi a quell’immagine per essere salvi dalle temute rovine. In brieve, divolgatosi il prodigio, vi accorsero moltissimi adoratori i quali offrirono copiose limosine laonde fu da certuni giudicato bene d’impiegarle a riparare l’immagine dall’intemperie delle stagioni col farle d’intorno una nicchia, ed un piccolo coperto. Ma crescendo sempre più il concorso de’ divoti che d’ora in ora si inginocchiavano davanti, appendendo voti e tavolette per grazie ricevute […] i divoti supplicarono il Duca acciò che permettesse graziosamente che si potesse dilatare sulla Piazzetta una cappella cinta di mura per comodo de’ li divoti adoratori, ed in essa alzarvi un altare per il divino sagrifizio […] Il Duca medesimo prese tanta devozione a quest’imagine che non lasciò mai più di visitarla […] Sempre ci si è continuato il culto essendosi introdotta la pia costumanza che nel giorno anniversario di questo tremuoto ci si fan un bell’addobbo e sulla piazzetta verso sera cantansi in musica le laudi di Nostra Signora ed il Te Deum, in rendimento di grazie a Dio per la liberazione dalle rovine del tremuoto».
[rudy favaro]

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