Il romitorio di San Pietro

Il romitorio di San Pietro

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Storia e #scrittesuimuri del Romitorio di Redondesco

Pareri Rudi-mentali

Se ci sono zone in cui le antiche chiese rischiano di crollare a causa del sisma, ve ne sono altre che conservano antiche testimonianze rimaste incolumi a questi eventi nel corso dei secoli.
È il caso del cosiddetto Romitorio di San Pietro a Redondesco, una chiesa di origini romaniche databile intorno al 1100, situata nella campagna lungo il fossato Tartaro.
La prima datazione di questo edificio si trova in un documento che risale alla fine del XII secolo, il quale cita una certa “Ecclesia Sancti Petri” situata a sud delle Bologne, toponimo ancora oggi esistente e frazione di Redondesco. Una identificazione che non lascia dubbio alcuno sul fatto che sia proprio il romitorio di Redondesco a essere citato in quell’antica carta.
San Pietro di Redondesco era una pertinenza dei potenti monasteri di San Salvatore e Santa Giulia a Brescia e di San Benedetto a Leno. Questi monasteri ebbero una decadenza, organizzativa e politica, nel Quattrocento. Una crisi che, tuttavia, non dovette aver molte ripercussioni su Redondesco, visto che la chiesetta di San Pietro proprio in quel secolo viene ampliata, allungata, e decorata internamente da episodi ad affresco di un certo interesse. Poi però, quasi improvvisamente, viene abbandonata anche lei dagli ordini religiosi, con conseguente interruzione delle sue funzioni liturgiche. È a questo punto che San Pietro comincia a essere punto di convergenza di chierici vaganti e di eremiti, da cui deriva l’ancor oggi appellativo di Romitorio.
I “romiti”, tuttavia, alternavano periodi di presenza e di attività con intervalli di assenza e di trascuratezza, nei quali comunque non venne mai meno l’attaccamento e la devozione del popolo a questo luogo.
L’architettura attuale della chiesa di San Pietro si presenta con una forma semplice e pulita, tipica delle chiese medievali. Una chiesa ad aula, ovvero con una sola navata, con facciata a capanna, coronata da un’abside semicircolare e di un tetto a capriate lignee. La parte absidale risale interamente alla fabbrica del XII secolo, così come la sezione inferiore del campanile. La facciata, invece, col suo portale ad ogiva e il suo oculo che illumina l’interno, risalgono al XV secolo.
Appartengono alla seconda metà del Quattrocento anche buona parte degli affreschi che decorano le pareti e l’abside, stilisticamente riconducibili ad ambiti di maestranze itineranti lombardo-bresciane. Si tratta, come consuetudine, di immagini illustranti episodi evangelici e raffigurazioni della Vergine e di santi quali Rocco, Sebastiano Lucia e Francesco, i santi più noti nelle campagne lombarde.
Nel tempo la chiesa è stata usata, soprattutto nei periodi di abbandono, anche come luogo di rifugio e di ricovero, di truppe, di viandanti o di altra gente che necessitava di un luogo per dormire e ripararsi. Molte di queste persone, nel corso dei secoli, hanno lasciato traccia del loro passaggio attraverso un fitto palinsesto di scritte sui muri, il più delle volte incise direttamente sugli strati affrescati. Si tratta di firme, date, epigrafi e annotazioni che apportano una testimonianza preziosa per la storia locale, non solo dell’edificio.
Iscrizioni che raccontano dei fatti di cronaca locale. Vengono graffite scritte che ricordano un amico (“Adì 6 lulio 1589 fu morto Domenico Gandolfo deto el sico [detto il secco]”) o altri eventi di più ampio respiro, talvolta con discrepanze cronologiche, come nella scritta che recita “Adì 22 Febrajo 1550 morì il S. Duca Francesco Sechondo de Mantua”, quando Francesco II, che peraltro duca non era, morì trent’anni prima. O, ancora, scritte che mettono in risalto la percezione locale degli eventi che cambiarono la storia, come nel caso di Napoleone, citato in due diversi graffiti. In uno si legge dell’avvento del conquistatore (“Il giorno 6 Magio 1805 ingresso di Napoleone primo nel Regno”), nell’altro della sua decadenza (“Napoleone l’anno 1814 fu condanato al sogiorno all’isola dell’Elba”).
Testimonianze artistiche come quelle del Romitorio di Redondesco vanno valorizzate. Sono episodi architettonici di un paesaggio padano in via di estinzione, decorati con immagini di una genuina devozione popolare e conditi dal valore aggiunto di un graffitismo ante litteram.
[rudy favaro]

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