Lanfranco ridipinto e vietato

Lanfranco ridipinto e vietato

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Racconti sulla pala di Lanfranco per Sant’Orsola a Mantova

Pareri Rudi-mentali

“Nemo propheta in patria”. Questa è la storia di una ennesima contraddizione. Una contraddizione cattolica e tutta mantovana. Questa è la storia di un quadro di Lanfranco da Quingentole, un artista che, dopo essere stato allontanato per quasi un cinquantennio dalle commesse di opere sacre nella diocesi di Mantova, oggi viene invece innalzato come prezioso autore, capostipite della pittura “fantastica” nell’arte cristiana, dedicatario di un’intera sala del Museo Diocesano “Francesco Gonzaga” di Mantova. Non solo: chi oggi volesse trovare rapidamente informazioni su di Lanfranco in internet, avrebbe subito l’evidenza che egli è pittore e scultore molto attivo in ambito cattolico. E verrebbe facilmente dirottato su un bel video celebrativo della sua vita e della sua arte, promosso e firmato dal noto settimanale “Famiglia Cristiana”. Tuttavia, nei decenni scorsi, le opinioni di certi ambienti ecclesiastici non furono sempre bonarie nei suoi confronti.
Tra la fine degli anni Quaranta e il decennio successivo Lanfranco dipinge e scolpisce svariate opere per l’ambito religioso. Lavora per diverse chiese della diocesi di Mantova, sia in provincia sia in città. Fino al 1957. Da quell’anno, infatti, a Lanfranco verrà proibito di realizzare opere per le chiese mantovane. Una sorta di damnatio che durerà a lungo. Rientrerà a lavorare in una chiesa mantovana, quella nuova di Curtatone, solo nel 2000.
Ma cosa accadde nel 1957? Quale fu il motivo del suo allontanamento? Lo spunto d’indagine mi è stato offerto qualche giorno fa dalla voce di un mantovano che in quell’anno era studente presso il Seminario Vescovile.
Nel ‘57 viene commissionata a Lanfranco una pala d’altare per la chiesa di Sant’Orsola di Mantova, che deve raffigurare la santa. Egli adempie al compito, dipingendo una tela col suo stile surreale e fantastico.
Quando questo quadro viene esposto, però, non incontra apprezzamenti da parte di tutti. Pare che soprattutto monsignor Luigi Bosio, a quel tempo docente di storia dell’arte presso il Seminario cittadino, si scagliasse contro l’opera, ritenendola poco rispettosa del luogo. Secondo il monsignore, la santa ricordava troppo esplicitamente la compagna di Lanfranco. Del resto, era notoriamente risaputo che ella, affascinante donna, era la sua modella per eccellenza, tanto nei soggetti a ispirazione sacra quanto in quelli di ambito profano, ricchi di nudi e di sensualità.
Stando al racconto dell’ex seminarista, monsignor Bosio avrebbe ridipinto (o avrebbe fatto ridipingere) il volto di questa santa, per camuffarne la palese rassomiglianza con l’avvenente modella. E renderla, almeno nel suo immaginario, una figura più pia. Una ridipintura, dice l’ex seminarista, che portò una completa dicotomia tra il vitale dinamismo del quadro di Lanfranco, fatto di un grafismo nervoso e carnale, con il nuovo volto ridipinto, un volto di santarellina, che nulla aveva a che fare con il resto.
Sulla questione ho voluto sentire anche Lanfranco. Il quale, con deliziosa gentilezza, mi ha fornito la sua versione. Stando ai suoi ricordi, il quadro non fu ridipinto. Venne bensì smontato dallo chiesa e lasciato alle intemperie. Questo succedeva poco dopo la sua realizzazione, proprio in quel 1957 che segna l’inizio del periodo di emarginazione di Lanfranco dai lavori in diocesi.
Quando l’artista vide il suo quadro abbandonato, bagnato dalla pioggia, cercò di riaverlo indietro. Ma non ci riuscì. I gestori della chiesa, con buon senso, non se ne vollero comunque privare.
Ma le disavventure del quadro non finirono. Sant’Orsola doveva, in seguito, subire ulteriori attacchi. Racconta sempre Lanfranco che, dopo l’acqua della pioggia, arrivò anche il fuoco. La tela fu bruciata in ampie sue parti. E furono i restauratori del laboratorio di Palazzo Ducale a risanarla. Per poterla poi esporre di nuovo, al suo posto, nella Chiesa di Sant’Orsola.
Oggi, invece, nei depositi di Palazzo Ducale ci sono le sette pale di Lanfranco realizzate, tra il ’49 e il ’51, per la chiesa di San Giacomo delle Segnate. Portate lì in salvo dopo il recente terremoto che ha ferito quella chiesa. Anche questi quadri vennero ridipinti. Come riferisce il Maestro, dovette lui stesso ritoccarli. I canonici, infatti, si lamentarono che le figure femminili avessero scollature che lasciavano troppo in vista i seni, chiedendo proprio a Lanfranco di accollare un po’di più le loro vesti.
Chissà se, visto che quei quadri sono già a lì, il ducale laboratorio di restauro non sia oggi curioso di far riemergere la versione originale di quei seni.
[rudy favaro]

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