Mesopotamia mantovana

Mesopotamia mantovana

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Sul Monferrato descritto dagli ambasciatori veneziani

Pareri Rudi-mentali

Leggendo le relazioni del XVI secolo che gli ambasciatori veneziani, di ritorno dai loro viaggi perlustrativi presso la corte di Mantova, redigevano per il Senato delle Serenissima Repubblica, si evincono curiose descrizioni dei territori posseduti dai Gonzaga nel Monferrato.
Il fatto che il ducato di Mantova confinasse coi territori veneziani e che fosse strettamente dipendente alla casa imperiale austriaca faceva sì che a questi resoconti venisse data consistente attenzione. Tant’è che, da quel che oggi si può ricostruire, dettagliati rapporti venivano di frequente commissionati a questi accorti ambasciatori. I quali, spesso, si ritrovano a ripetere e confermare notizie già date in precedenza.
Per quanto riguarda, comunque, il dominio mantovano nel Monferrato, i racconti dei veneziani insistono, forse in modo non del tutto onorevole, sul fatto che questo territorio è pervenuto ai Gonzaga “per via di femmine”. Infatti, la casata dei Paleologi, che aveva retto per varie generazioni il marchesato del Monferrato, venne a trovarsi senza eredi maschi. Quando l’ultimo marchese maschio morì l’erede più prossimo era Margherita Paleologa, moglie del duca Federico II Gonzaga.
I territori del Monferrato vengono descritti al Serenissimo Senato veneziano come fecondissimi e molto produttivi. Vengono addirittura paragonati alla Mesopotamia, e rappresentati come una mezzaluna fertile posta tra i due fiumi Po e Tanaro.
Ma, oltre che «paese fertilissimo e bellissimo», il Monferrato è anche «pieno di nobiltà de’ feudatari». E gli ambasciatori veneti sanno bene come il duca vendi con facilità i suoi feudi, per ripianare le continue passività di bilancio. Ma, allo stesso tempo, lo stesso duca, vorrebbe trattare coi genovesi un territorio che dal Monferrato gli dia lo sbocco al mare, «per aver commodità a qualche tempo di armar qualche galea».
Si stimava che la popolazione del Monferrato contasse circa duecentomila anime. Si diceva essere «molto buona gente, migliore di quella di Mantoa». E, tra questi duecentomila, dovevano esserci più di quindicimila fanti, sui quali, ovviamente, il duca contava molto.
L’acquisizione del Monferrato, tuttavia, non portò grande soddisfazione ai Gonzaga. Anzi: girava la voce che i duchi di Mantova, prima di avere il Monferrato, fossero i più contenti e felici principi che ci fossero in Italia. Vivevano prima in grande sicurezza e contentezza. Il Monferrato non fu altro che un grande impegno, di mezzi e di persone. Se ampliò il dominio di Mantova, allo stesso tempo ne svuotò le casse e ne desolò i sudditi. Prima nelle liti coi Savoia per il possesso di questi territori, che portò grossi indebitamenti per i Gonzaga. Poi per essere stato scenario di battaglie nella guerra tra la corona spagnola e quella francese, con le conseguenti rapine, gli incendi e le molestie per le popolazioni. Infine nelle costosissime costruzioni delle fortificazioni di Casale, di Alba, di Acqui e degli altri più di trecento incastellamenti.
Ma, a quanto pare, il duca non volle mai ammettere queste passività. E, sebbene gli spagnoli offrissero ai mantovani di permutare i territori del Monferrato con la grande città di Cremona, che dopo Milano era la più ricca e popolosa della Lombardia di quel tempo, il Gonzaga si tenne strette le fertili colline tra Po e Tanaro.
Fruttiferi e abbondanti, quei dolci paesaggi, ma separati da Mantova. Il Mantovano e il Monferrato erano tagliati nel mezzo dall’interposizione dello Stato di Milano, presso il quale bisognava sempre rivolgersi per far passare qualsiasi cosa da una parte all’altra. Non solo non passavano gli uomini, i fanti o i sacchi di munizioni, ma, raccontano gli ambasciatori, «senza licenza del governator di Milano, ne meno un bichier di vino potevano mandar, che di si buoni ne abonda in Monferato».
[rudy favaro]

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