Omicidio a Sant’Andrea

Omicidio a Sant’Andrea

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La tragica morte del vescovo medievale Guidotto da Correggio

Pareri Rudi-mentali

Nel 1231 venne fatto vescovo della città Mantova un certo Guidotto, un uomo energico e risoluto, appartenente all’importante famiglia parmense dei da Correggio. E, nell’anno successivo, caso insolito per quei tempi, fu nominato anche podestà della città.
Guidotto da Correggio arrivò a Mantova dopo un periodo caratterizzato, per quanto ci è dato sapere, dalla forte dispersione del patrimonio e da interventi pubblici lesivi delle prerogative ecclesiastiche. Non migliore doveva essere la situazione nell’ambito “spirituale”, dove sono documentate carenze nell’esercizio della cura delle anime e rilassatezze dei costumi di una parte del clero.
Fin da subito i mantovani dovettero avere l’evidenza che con questo nuovo vescovo-podestà la musica era cambiata. Nel giro di poche settimane, infatti, Guidotto rivoluzionò alcuni dei nodi cruciali dell’amministrazione locale, creando non poco stupore e dissapore.
Pose, anzitutto, precisi e severi limiti al rilascio di documenti attestanti la concessione di beni e di diritti feudali. Prescrisse la scomunica a tutti quei notai che avessero redatto questi atti senza il suo personale consenso e, per non sbagliare, indicò due soli notai cui riconosceva la prerogativa di redigere atti per conto dell’episcopio. Poi, richiese a tutti i pievani della diocesi di rendere conto della situazione economica oltre che della loro personale condotta morale. E qui si scoperchiarono pentole bollenti. Dalle carte d’archivio che narrano di questi episodi affiorano, infatti, circostanze davvero imbarazzanti. I resoconti lamentano situazioni economiche alquanto precarie, essendo molti i debiti contratti dai canonici per far fronte alle più varie occorrenze. Un gran numero di proprietà terriere risultano date in pegno per tacitare i creditori, oppure alienate, spesso in favore di persone legate da stretti vincoli di parentela con gli stessi preti. Inoltre, emerge l’immagine di un clero poco incline alla celebrazione dei divini uffici, praticante con disinvoltura la simonia, frequentatore di taverne e disposto persino a cedere in pegno agli usurai i “ferri del mestiere”, come i messali, i salteri e gli antifonari. Non bastasse, quasi tutti i preti chiamati a testimoniare dichiararono di aver avuto o di avere relazioni, talvolta perfino carnali, con donne anche sposate.
Insomma, nel giro di soli tre anni il vescovo Guidotto da Correggio creò gran scompiglio con le sue riforme. E, ovviamente, si attirò varie inimicizie, sia tra la società civile sia tra quella religiosa. Tant’è che, a metà del mese di maggio del 1235, dopo soli quattro anni dalla sua nomina, mentre si recava a discutere nuove riforme coi monaci del monastero di Sant’Andrea, venne linciato proprio davanti a quella chiesa dai cittadini mantovani. Lo massacrarono con più di cinquanta colpi di spada, quasi volessero farlo a pezzi. E, non contenti, i suoi carnefici ne sfregiarono il volto e infierirono, in modo altamente simbolico, amputandogli entrambe le mani. Quelle stesse mani che in pochi mesi firmarono documenti rivoluzionari per il territorio mantovano, pretendendo di imporre nuove regole agli oligarchi del comune e di ridare dignità al clero della sua diocesi.
Vennero incolpati dell’omicidio alcuni esponenti di famiglie nobiliari cittadine, quella dei Casaloldo e quella degli Avvocati. I quali, stando alle cronache, scapparono a Verona, facendo rischiare a questa città l’interdizione per aver accolto i fuggiaschi.
Ma, di fatto, gli storici hanno sempre posto dei dubbi su questa incriminazione. E anche il popolo mantovano di quel tempo dovette essere di parere diverso. Infatti, al diffondersi della notizia della morte di Guidotto, insorse, giungendo anche a saccheggiare il monastero di Sant’Andrea. La qual cosa induce ad avanzare seri sospetti anche nei confronti di quei monaci.
[rudy favaro]

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