Grace Jones “Slave to the rhythm” (1985)

Grace Jones “Slave to the rhythm” (1985)

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In onda tutte le sere alle 20e15 - 22e15 - 00e15

Ascolta il Disco Base della settimana

1. GRACE JONES "Jones The Rhythm"
2. GRACE JONES "The Fashion Show"
3. GRACE JONES "Slave To The Rhythm"
4. GRACE JONES "Don't Cry - It's Only The Rhythm"
5. GRACE JONES "Ladies and gentleman - Miss Grace Jones"

discobase-fb-logoNessuno si aspettava  il suo ritorno alla musica con un’ulteriore opera così diversa dalle precedenti e davvero sopra le righe, come Slave To The Rhythm (1985), che per la critica contende a Nightclubbing il titolo di miglior disco dell’intera carriera. Il successo di pubblico che otterrà (passando il milione di copie vendute) è emblematico della popolarità raggiunta da Grace Jones in quel periodo, uno status che le consente di dare alle stampe il suo lavoro più ermetico e meno orecchiabile di sempre ed entrare tranquillamente in classifica.
Stando alla descrizione data sulle note di copertina, Slave To The Rhythm è una personalissima “biografia musicale” dove ogni brano rappresenta in maniera piuttosto creativa un particolare passo della sua carriera. Da un punto di vista musicale, questo disco anomalo si colloca in una posizione unica nel panorama del periodo e il primo indizio ce lo offre ancora una volta la foto di copertina, dove il volto della Jones, catturato in un urlo aggressivo, viene tagliuzzato e allungato a dismisura, risultando in diverse “versioni”. Slave To The Rhythm, infatti, contiene una sola canzone, ovvero la traccia omonima (che sarà poi il singolo di successo), mentre le rimanenti sono rielaborazioni sulla stessa, in un formato da tema e variazioni in chiave moderna, in cui si spazia con totale libertà dall’elettronica a chitarre spaziali, passando per ritmiche jungle e momenti di pura avanguardia, in un’orgia sonora che spiazza e affascina. Ad accompagnare la voce di Grace Jones nelle tracce del disco, uno stuolo di musicisti, diretti da nientemeno che Trevor Horn, uno di quei produttori leggendari che si fa prima a dire con chi non ha lavorato. Ai fini di questo disco, però, basti nominare il suo apporto su “Welcome To The Pleasuredome” dei Frankie Goes To Hollywood, per certi versi affine alle sonorità di Slave To The Rhythm.La canzone stessa, del resto, era stata originariamente concepita da Horn come una b side per il singolo “Relax”. “Slave To The Rhythm” assume dei toni epici che ne fanno a tutt’oggi uno dei brani più noti della Jones, allontanandola parzialmente dalle sonorità disco degli esordi.Il resto dell’album prosegue sostanzialmente sulla stessa falsariga. C’è davvero poco da ballare, adesso, e Grace Jones ci invita (o meglio costringe, visto il personaggio) a seguirla in un’odissea sonora senza precedenti, segnata da una fantasia a briglia sciolta. Come spiegare altrimenti un pezzo come “Operattack”, uno scollegato delirio di sola voce campionata degno dell’avanguardia vocale di Laurie Anderson? Oppure “The Frog And The Princess”, con un lungo recitato estratto da “Jungle Fever”? Solo “The Fashion Show” sembra regalare un momento di più tradizionale r’n’b, con tastiere alla Stevie Wonder, ma anche continue deviazioni dal formato canzone. “The Crossing (ooh the action…)” è invece uno strano pezzo strumentale di atmosfere ambient da foresta pluviale all’alba di una nuova era.
In conclusione, Slave To The Rhythm è un bel concept schizofrenico dal mondo dell’arte, che si conquista solo ascolto dopo ascolto. Unica pecca, l’inspiegabile fatto che la versione su cd, rispetto all’originale in vinile, abbia tagliato fuori quasi tutti i pezzi di parlato e gli stralci di interviste inseriti tra un pezzo e l’altro, che invece erano di vitale importanza anche per esprimere il senso di una “biografia” in musica.

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Oltre a vicepresiedere come si conviene a un vicepresidente, ci guarda dall'alto dei suoi 192 cm. La foto non tragga in inganno.