Yes “Fragile” (1972)

Yes “Fragile” (1972)

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In onda tutte le sere alle 20e15 - 22e15 - 00e15

Ascolta il Disco Base della settimana

1. YES "Roundabout"
2. YES "South Side Of The Sky"
3. YES "Long Distance Runaround"
4. YES "Mood For A Day"
5. YES "Heart Of The Sunrise"

discobase-fb-logoGli Yes sono forse la band che più di altre viene identificata con il cosiddetto “rock progressivo”. Se, infatti, i Genesis con il tempo hanno virato verso sonorità più scarne e indubbiamente commerciali, e i King Crimson non hanno mai smesso di cercare una evoluzione della propria musica sperimentando soluzioni diverse (non è forse proprio questo il vero significato di musica progressiva?), gli Yes invece sono rimasti negli anni fedeli – fatta eccezione per i discussi tentativi di svecchiamento portati da Trevor Rabin – ai canoni formali che li hanno portati ai vertici del movimento progressive negli anni Settanta. Probabilmente i Nostri hanno smesso di crescere dopo la pubblicazione del complesso album “Close To The Edge” (’72), ma ciò comunque non ha impedito loro di scrivere ancora ottime composizioni negli anni successivi.
Precedente al citato “Close To The Edge” è “Fragile”, da molti (nonché da chi scrive) considerato il loro assoluto capolavoro. La band è ormai matura e si è lasciata alle spalle il pop sinfonico devoto ai Moody Blues dei primi due pur gradevoli album; già con lo “Yes Album” c’è stato il cambio di marcia, ora la conferma. Nota di servizio: in formazione è da poco entrato l’asso delle tastiere Rick Wakeman (ex Strawbs); musicista eccentrico e di grande talento, la cui formazione classica si lega perfettamente con l’impronta “pomposa” del sound degli Yes.
Ma veniamo a “Fragile”. L’album si apre subito con un brano manifesto: una nota di pianoforte in crescendo introduce un delicato arpeggio di chitarra acustica, e parte “Roundabout”; ritmo e velocità trascinanti sono il terreno ideale per il potente basso di Chris Squire, il cui volume è così alto da oscurare perfino la chitarra. Ma non finisce qui: il brano è ricchissimo di variazioni: stacchi più duri (con un Wakeman in inedita versione rockeggiante), cori perfetti, momenti rallentati di grande effetto. La classe e le capacità tecniche dei cinque musicisti contribuiscono a materializzare otto minuti abbondanti di meraviglia.
Segue “Cans And Brahms”; si tratta di un estratto dalla quarta sinfonia di Brahms, interamente eseguito da Wakeman: rilettura gradevole e niente affatto “pesante” all’ascolto, mette in luce le radici classiche del tastierista. “We Have Heaven” è breve (un minuto e mezzo) e intensa; qui la voce di Jon Anderson può liberare tutta la sua bellezza e sperimentare interessanti intrecci fra parti sovraincise e vocalizzi angelici.
Ma le atmosfere paradisiache vengono bruscamente interrotte dal rumore del temporale che fa da apertura a “South Side Of The Sky”, pezzo molto vicino all’hard-rock, arricchito da una lunga parte rallentata di grande emotività; ancora una volta i cori, scritti ed eseguiti benissimo, e le trovate vocali di Anderson sono un valore aggiunto. Poi, raffiche di vento spazzano via il temporale e con esso il fragore del brano, chiudendo il primo lato del disco.
La seconda facciata è introdotta dai trenta secondi di “Five Per Cent For Nothing”; un momento di divertimento per i musicisti che in questo breve preambolo si sbizzarriscono su un canovaccio scritto da Bill Bruford. Quindi parte il giro raffinato di “Long Distance Runaround”, che sembra estratto da una composizione per clavicembalo del Settecento; altro classico del repertorio della band, si tratta di una canzone (perché, in definitiva, si tratta sempre di composizioni in forma-canzone) più semplice e particolarmente elegante nei fraseggi: fresca e leggera. Ad essa si lega l’appendice “The Fish”, tutta giocata sull’impasto fra effetti sonori e cori.
Con “Mood For A Day”, invece, sale sugli scudi Steve Howe; il chitarrista esegue in solitario un suo studio per chitarra acustica, e abbaglia per l’armoniosità della composizione e la bravura nell’esecuzione (molto di più di quanto non abbia fatto in “The Clap”). E’ il degno preludio a un altro capolavoro: “Heart Of The Sunrise”, dieci minuti di rara intensità e trasporto emotivo. Bruford percuote le batterie con incredibile espressività (e sì, perché si può suonare in modo unico e inconfondibile anche la batteria…). Il brano comincia con un gran caos strumentale, per poi lasciare spazio a una cascata di note provenienti dal mellotron di Wakeman, sorrette dal drumming straordinariamente fantasioso ed efficace di Bruford; poi tutto torna a esplodere con i musicisti che si inseguono in un vortice di ardite parti strumentali. Torna la quiete quando compare la voce di Anderson, ma il brano mantiene sempre una forte tensione, solo momentaneamente sopita, che si libera nella grandiosità del finale. Forse è il capolavoro di “Fragile”.
Il disco termina lasciando una profondo senso di appagamento. Con “Fragile”, inoltre, gli Yes cominciano la simbiotica collaborazione con il pittore Roger Dean; i testi sognanti e immaginifici di Anderson si sposeranno perfettamente con le rappresentazioni degli ambienti metafisici creati da Dean. Da qui a venire, questi firmerà praticamente tutte le copertine dei dischi del gruppo, costruendo così insieme quei “mondi impossibili” che ancora oggi rivivono nelle loro opere.

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Oltre a vicepresiedere come si conviene a un vicepresidente, ci guarda dall'alto dei suoi 192 cm. La foto non tragga in inganno.