Il ghetto di Mantova

Il ghetto di Mantova

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storie, tradizioni, curiosità, lontane nel tempo

Andar per Mantova 28 Gennaio

Buona giornata a tutti i miei cari amici di Radio Base e ben ritrovati ad Andar per Mantova da M.V.G.
Non potevo non fare riferimento in questa puntata di Andar per Mn alla data del 27 gennaio, anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz e Giorno della Memoria della Shoah, data che viene condivisa, in questi anni, in molti Paesi europei, per tenere vivo nelle attuali e future generazioni il ricordo drammatico delle sterminio nazista. Partendo da qui il nostro Andar per Mn di oggi ci consentirà di fare un’escursione non solo storica nella zona del ghetto della nostra città, alla ricerca di quel quartiere ebraico e di quella storia secolare di cui restano oggi solo tracce, nelle architetture e nei nomi. Anzitutto quale il significato del termine Ghetto? deriva da “”getto”” cioè dalla parola con cui si definiva la colata dei metalli fusi in fonderia, attività industriale presente nel primo quartiere esclusivamente ebraico presente a Venezia nel 1500. Da allora “”Ghetto”” definì il luogo in cui si concentrava la comunità ebraica in una qualsiasi località. A Mantova il ghetto arrivò ad ospitare migliaia di persone ed occupava un’area del centro storico della città, adiacente a piazza delle Erbe. A Mantova città, la presenza ebraica risale al XII secolo e si sviluppa in particolare, come numero, sul finire del 1300. Nei due secoli successivi l’aumento della comunità ebraica è costante, fino a raggiungere la quota di oltre 2000 persone, che costituiva circa il 7 per cento della popolazione totale della città. La zona abitativa degli ebrei mantovani non era già determinata ma volontariamente, dopo il 1400 essi preferirono raccogliersi in un’area delimitata dalle attuali via Calvi e via Bertani, nelle due contrade del Cammello e del Grifone. Qui, nel corso degli anni, il quartiere, che ospitava anche molte famiglie importanti di medici, musicisti, ingegneri, scienziati, si popolò di botteghe, depositi, luoghi di commercio, osterie. Fu nel 1513 che si aprì, con dispensa papale, la prima sinagoga di Mantova. La struttura originaria del ghetto si definì all’inizio del ‘600, con Vincenzo I Gonzaga che, su pressione della curia romana, ordinò la concentrazione della comunità ebraica in un’ unica zona: fu costruito una specie di quadrilatero in muratura nelle contrade già ampiamente abitate dagli ebrei mantovani. In questa cinta muraria si aprivano quattro ingressi principali, dotati di portoni e cancelli: a metà di via Giustiziati, nell’attuale piazza Concordia, nell’odierna via Spagnoli – angolo via Calvi e in via Bertani – angolo via Pomponazzo. I portoni si aprivano all’alba e si chiudevano al tramonto, con il divieto per i residenti di uscire di notte. La comunità ebraica che annoverava al suo interno, come dicevo, banchieri, commercianti e artigiani, soprattutto orefici, espresse nel 1400 medici così famosi da essere particolarmente richiesti dalla corte gonzaghesca e da altri nobili e principi del territorio. Naturalmente il culto era oggetto di particolari attenzioni : tra il 500 e il 600 vennero erette sei sinagoghe, tre di rito tedesco (gli ebrei le chiamano “”scuole””) e tre di rito romano o italiano: la Scuola Grande (da qui il nome attualmente dato alla Via), demolita nel 1938, La Scuola Cases e la Scuola Norsa. Di tutte queste tre sopravvive solo la Scuola Norsa, ma non l’originale. Demolita infatti anch’essa nel 1899, fu ricostruita integralmente in Via Govi, attualmente sede della comunità.
Fu dunque dal 1600 che cominciò un periodo luttuoso per la comunità ebraica mantovana: nel 1630, quando in città scoppiò una terribile epidemia di peste, gli ebrei furono addirittura accusati di diffonderla. Da allora la comunità ebraica subì un costante declino e l’area del ghetto fu rimpicciolita. La Rotonda di san Lorenzo, sconsacrata e usata come magazzino, fu a quel tempo inglobata nel ghetto e completamente coperta da casupole. Lo spazio del ghetto dovette allora essere sfruttato al massimo: gli edifici della comunità ebraica crebbero così in altezza arrivando – cosa insolita – a 4 piani , come, ad es., la Casa del Rabbino, in via Bertani, uno dei pochi palazzi del ‘600 sopravvissuti fino ad ora. La vita della comunità divenne sempre più difficile: gli immobili si fecero sempre più fatiscenti e malsani, la promiscuità intollerabile e anche la cultura si ridusse e si inaridì : si pensi che persino l’uso della lingua parlata si arrestò dentro le mura del ghetto e che gli ebrei continuarono, dentro il loro recinto, a parlare per molto tempo la lingua mantovana del Cinquecento. Nei secoli successivi, tra alternanze di dominazioni e servitù, la comunità gradualmente si sfaldò, fino a ridursi, alla fine del 1800, a poche centinaia di anime. Nel 1900 ebbe inizio lo sventramento del ghetto, nonostante quello mantovano fosse il maggiore dell’Italia settentrionale dopo quello di Venezia. Dopo le razzie naziste del 1944 e le deportazioni restarono in città poco più di cento ebrei. Le memorie della vivace cultura della comunità ebraica mantovana restano oggi in poche tracce architettoniche e, soprattutto nei ricchi archivi della comunità,che risalgono al 1500 e che vengono custoditi e costantemente aggiornati nell’attuale sede di Via Govi.

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