Far parlare le etichette

Far parlare le etichette

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Almeno sapremmo cosa mettiamo in bocca

Buon mercoledì etichettato
Nel giorno in cui l’agricoltura chiude, da secoli, l’anno, nel giorno in cui si cambiava podere da parte dei lavoranti la terra, nel giorno del mantello tagliato con la spada per darlo all’ignudo, vorrei parlare di etichette.
Gli allevatori e i coltivatori in questi giorni protestano alle frontiere o davanti alle sedi degli Iper perché dicono che oltre a danneggiare loro, ingannano anche noi acquirenti con formaggi fatti con latte e caglio non italiano e dubbio, ma con nomi italianissimi sulle confezioni per sfruttare il brand, come si dice in termini tecnici.
Perché questo avviene? Avviene perché non c’é obbligo di indicare, sulle etichette, né la provenienza del latte né quello del caglio; allora abbiamo mozzarelle, di fatto ungheresi e parmigiano, fatto con con cosa non si sa e stagionato in qualche forno sparso nella grande europa. La colpa, allora, oltre che nella nostra distrazione nell’acquistare senza guardare se non il prezzo basso che quasi sempre è sinonimo di fregatura occulta, è di chi, non legiferando, non impone etichette informative come si deve e non quell’ammasso di lettere in corpo 3 o 4, che nemmeno con un microscopio possono essere lette, interpretate e capite.
Oltre alle sacrosante proteste, pretendere, da chi periodicamente ci chiede i voti, di darsi da fare, credo sia doveroso.
A risentirci domani. Grazie
@robertostorti

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