Litfiba “Desaparecido” (1985)

Litfiba “Desaparecido” (1985)

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Brani scelti e commentati da Bruno Casini, giornalista e scrittore, dal 1980 al 1985 manager del gruppo fiorentino.

In onda tutte le sere alle 20e15 - 22e15 - 00e15 su Radiobase Mantova

1. LITFIBA "Eroi Nel Vento"
2. LITFIBA "Lulu' E Marlene"
3. LITFIBA "Istambul"
4. LITFIBA "Pioggia Di Luce"
5. LITFIBA "Desaparecido"

discobase-fb-logoE’ difficile, a più di due decenni di distanza, rievocare il clima che si respirava all’interno della scena rock italiana al momento dell’uscita di “Desaparecido” e soprattutto dare l’idea dell’impatto fortissimo che questo disco ebbe su di essa.
“Desaparecido” compone insieme a “Siberia” dei Diaframma, uscito nell’anno precedente, e a “Affinità-Divergenze fra il compagno Togliatti e noi” dei CCCP uscito nel successivo 1986, un trittico di dischi fondamentali per il rock nostrano che dimostra, da una parte di aver metabolizzato i suoni della new wave, soprattutto inglese, e dall’altra di potere esprimere un suono autonomo, compiuto e maturo.
In qualche modo i lavori di queste tre band rappresentano per gli anni ’80 quello che Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso e Area avevano rappresentato per gli anni 70, ovvero punti di riferimento autorevoli, di spessore internazionale, all’interno della scena nazionale. Ed è importante ricordare come l’influenza di questi gruppi di matrice progressiva fosse ancora così forte e radicata in Italia da spingere in là nel tempo, fino alla metà degli 80, l’affermazione definitiva di un nuovo linguaggio musicale.
In realtà una timida scena new wave nostrana esisteva già in da qualche anno, si pensi ai Denovo, ai Gaznevada, agli Underground Life, ai Neon e agli stessi Litfiba, attivi già dal 1980, con alle spalle un’intensa attività live (spesso condividendo le serate con i Diaframma), un paio di Ep e una colonna sonora teatrale. Ma è solo all’inizio del 1985, a un lustro di distanza dall’epopea della new wave (le fonti stilistiche che più si percepiscono nei solchi del disco sono quelle di U2, Ultravox, Joy Division e Japan) che “Desaparecido” viene dato finalmente alle stampe. L’etichetta è la IRA la medesima di “Siberia” dei Diaframma, in quel momento in Italia la più importante per la nuova scena indipendente.
I Litfiba condensano in otto canzoni il meglio della propria produzione, nuova o già ascoltata negli anni precedenti, e immediatamente critica e pubblico hanno la percezione dell’evento. I Litfiba, fortemente supportati dalla stampa specializzata, Mucchio Selvaggio in primis (al punto da apparire nelle stesse note di copertina di “Desaparecido”), si ergono a paladini di quello che venne prontamente ed enfaticamente definito “il nuovo rock italiano”. La foto di retrocopertina presenta la formazione storica del gruppo, Piero Pelù (voce), Ringo de Palma (batteria), Gianni Maroccolo (basso), Ghigo Renzulli (chitarra) e Antonio Aiazzi (tastiere) sistemata su un cumulo di pietre. I musicisti sono bardati con cappotti e abiti scuri, gli sguardi truci secondo l’iconografia decadente cara alla “new wave”. Della pessima copertina, invece, è meglio tacere…
Se del nuovo rock italiano i Diaframma incarnano l’anima dark e poetica, mentre i CCCP l’anima punk e politica, i Litfiba ne incarnano l’anima sognatrice e vagamente mediterranea. Uno dei meriti che va ascritto alla band di Pelù è infatti quello di rivisitare la matrice fortemente britannica delle linee strumentali con tocchi esotici: una preghiera islamica, una nacchera spagnola, una festa tzigana che si trasformano in pretesti sonori per sognare e viaggiare con la mente; i cinque musicisti sono come pirati della Malesia, mossi dalla fervida fantasia di un Emilio Salgari, che però non si è mai spostato dall’Italia.
Piero Pelù, grande talento e grande carisma, è una delle chiavi di lettura della forza dirompente di “Desaparecido” e della band di quegli anni. Il suo animo zingaro lo trasforma nel Sandokan della banda: è lui, grande ammiratore di Iggy Pop, il front-man, forse in prospettiva il più grande che avesse mai avuto l’Italia fino a quel momento; è sempre lui a dettare, con la sua voce potente e le sue vocali allungate, le regole del cantato in italiano per una generazione di aspiranti vocalist. Ma la band ha altre personalità spiccate. Gianni Maroccolo innanzitutto che con questo disco ci offre una delle più belle interpretazioni del basso elettrico italiano. E poi il compianto Ringo De Palma, amico caro di Piero dai tempi del liceo, preciso e dirompente, esattamente quello che si chiede al batterista di una vera rock band. Ghigo Renzulli, ancora lontano dalle lotte di potere per il controllo del gruppo, si pone a disposizione del risultato complessivo contribuendo egregiamente con un suono equilibrato e disciplinato. Infine, Antonio Aiazzi che alterna momenti di sbandamento sonoro a momenti memorabili. Le tastiere infatti ora suonano quasi superflue (“Eroe nel vento”, “La preda”), ora intrise di un goticismo torbido (“Lulù e Marlene”), ora sin troppo vicine alle fonti di ispirazioni (gli Ultravox su tutti).
L’apertura del disco è folgorante. “Eroe nel vento” è uno dei pochi inni che può vantare il rock italico, pur ammiccando decisamente, nel riff di chitarra, allo stile di The Edge degli U2. Il ritmo serrato prosegue con “La Preda”, un direttissimo sostenuto dal basso incalzante di Maroccolo il cui suono, ottenuto col plettro, spicca sempre per l’incisività delle linee e per la pulita aggressività del suono.
“Istanbul”, sognante e visionario, è uno dei brani chiave del disco. Il recitato arabo richiama, in un ideale passaggio di testimone tra il vecchio e il nuovo, quello di “Luglio, agosto, settembre (nero)” da “Arbeit macht frei” degli Area. I suoni sono equilibrati, le tastiere di Aiazzi tra arpeggi e tappeti creano il giusto clima evocativo su cui si libra la voce di Pelù. La domanda a posteriori è d’obbligo: quanti giovani hanno viaggiato alla metà degli anni 80 alla volta di Istanbul?
Se “Tziganata” e “Desaparecido” si caricano di contaminazioni tra lo zingaresco e il flamenco, “Pioggia di luce” è invece una gemma preziosa dove la qualità degli arrangiamenti richiama il clima di certa new wave raffinata. La canzone si chiude con un elegante solo di chitarra dell’ospite Hanno Rinne che richiama alla memoria il solo di tastiere di Herbie Hancock guest star d’eccezione in “New Gold Dream” dei Simple Minds.
“Guerra”, canzone che accompagna i Litfiba fin dagli esordi e che a lungo rappresenterà il momento di massima intensità nei loro concerti, parte su un ritmo marziale che poi si dilata in un memorabile frammento carico di epicità: una ritmica quadrata, un tappeto sonoro da brivido su cui Pelù ci regala uno dei suoi momenti vocali più intensi. La canzone, in un divenire continuo, degenera infine in un caos insostenibile, come in una guerra combattuta davvero con le linee degli strumenti che si rompono nella bolgia della battaglia.

Sigfrido Menghini

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Oltre a vicepresiedere come si conviene a un vicepresidente, ci guarda dall'alto dei suoi 192 cm. La foto non tragga in inganno.