Nuovi incontri nel terzo paesaggio

Nuovi incontri nel terzo paesaggio

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Di Valentina Vitali

Non è più necessario inoltrarsi in boschi silenziosi per assistere al suo volo sfarfallante, accompagnato dal tipico stridio gracido e acuto. È sufficiente passeggiare sulle rive dei laghi di Mantova, scrutando attentamente tra le fronde, per incontrare un esemplare di ghiandaia.

L’habitat di questo uccello, appartenente alla famiglia dei Corvidi, era la foresta temperata di latifoglie. Qui era possibile trovare insetti, anfibi ma soprattutto ghiande che, insieme a faggiole ovvero i frutti del faggio, castagne e noci, costituiscono la sua dieta. L’urbanizzazione del territorio e la conversione delle restanti aree a terreni agricoli, hanno diminuito drasticamente questo bioma, inteso come ecosistema di grandi dimensioni caratterizzato da una comunità ben precisa. Ogni specie è rappresentata da una popolazione che interagisce con le altre a formare una complicata e unica rete di relazioni. La ghiandaia, come tutti gli altri animali privati del loro habitat, ha dovuto disperdersi alla ricerca di nuovi territori da colonizzare, lasciando le zone pedemontane per quelle di pianura a clima più mite. In particolar modo può aver trovato nel territorio mantovano residui del Quercus-Carpinetus boreo italico che, con la presenza della farnia, le offrono cibo in abbondanza. La colonizzazione delle foreste da parte di questi uccelli rappresenta sicuramente un beneficio per le specie arboree stesse. La disseminazione di molti alberi è affidata proprio a granivori o animali che includono nella loro dieta i semi. In particolare le ghiandaie nascondono in tarda estate parte delle ghiande sotto le foglie, a terra, come provvista per l’inverno. Una piccola percentuale viene dimenticata e permette la crescita di nuovi alberi.

Pianura significa anche città. Molte aree di centri urbani, tra cui Mantova, sono ottimi esempi di “terzo paesaggio”: così vengono definite dal paesaggista francese Gilles Clèment le zone di confine tra domus e silva in cui queste due realtà si abbracciano per formare un mondo ibrido. Un mondo in cui molti animali ottengono facile accesso a risorse trofiche che altrimenti richiederebbero ricerche energicamente dispendiose. La teoria del foraggiamento ottimale unita alla maggior protezione dai predatori spinge molte specie ad urbanizzarsi.

Ho potuto personalmente assistere ad un corollario dell’avvicinamento alle città di specie selvatiche. Durante una passeggiata lungo la ciclabile che collega la Rocca di Sparafucile a Porta Giulia, la mia attenzione è stata richiamata da un uccello che si è posato molto vicino a me. L’obiettivo della macchina fotografica si è focalizzato su penne copritrici barrate di azzurro, secondarie bianche, timoniere e mustacchio neri: non poteva essere che la ghiandaia. Quell’esemplare non si è mostrato affatto intimorito dalla mia presenza e si è lasciato immortalare a lungo, permettendomi di vedere chiaramente la preda che era riuscito a catturare sul ramo e che teneva saldamente nel becco. Si trattava di una larva di qualche insetto. Le ghiandaie sono generalmente uccelli molto schivi. È più facile sentire il loro richiamo di allarme, che emettono durante il volo da un albero all’altro per avvisare della vicinanza di possibili predatori, che riuscire a vederle direttamente. L’anomalo comportamento di quella da me incontrata, verificato successivamente anche in altri esemplari visti in un parco urbano di Modena, è una prova del processo di assuefazione subìto da molte specie urbanizzate. Anche l’etologo Mainardi ha spesso trattato il tema, approfondendolo nel testo “La città degli animali”. Molte specie che si sono avvicinate ai centri urbani hanno rapidamente imparato che l’uomo e il chiasso da lui prodotto non sono un pericolo e si sono abituate alla sua presenza: l’uomo non è altro che una delle tante specie con cui condividere il proprio areale, un appartenente alla loro comunità. Si può quindi aggiungere la ghiandaia al lungo elenco di animali sinantropi: condividono spazi e risorse con l’uomo senza esserne necessariamente dipendenti. Questo implica cambiamenti importanti come innovazioni dei rapporti sociali, diete differenti o un differente modo di procurarsi il cibo.

Incontrare la ghiandaia diventerà quindi sempre più frequente. Spero però che l’assuefazione non subentri anche nelle persone che avranno questa fortuna. Il contatto con la natura merita sempre di essere vissuto con intensità.

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