Intervista ad Alessandra Sutti, un’anticipazione della conferenza di questa sera

Intervista ad Alessandra Sutti, un’anticipazione della conferenza di questa sera

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Valentina, l’inviata di RadioBase, vi trasmette ora l’intervista alla dottoressa Alessandra Sutti realizzata da Stefania.

“Che bel vestito! E costa anche poco!” Quante volte abbiamo detto o abbiamo sentito dire frasi del genere, ma ci siamo mai domandati che cosa effettivamente indossiamo tutti i giorni? Plastiche e microplastiche, le sentiamo nominare spesso ma non ci rendiamo conto che sono in molti più oggetti di quel che pensiamo, anche appunto, nei nostri vestiti. Dunque, come possiamo scegliere capi d’abbigliamento più sostenibili? Ma soprattutto, come si può ridurre l’uso della plastica nel settore tessile e quali sono i candidati alla sostituzione di questa? Alessandra Sutti, con una laurea e un dottorato in Scienze dei materiali, ci parla di questi problemi in diretta dall’Australia, dove è docente presso la Deakin University. Ci aiuterà ad aprire gli occhi su questioni che ci riguardano molto da vicino nella nostra quotidianità e a capire le conseguenze che alcuni materiali e micro-materiali hanno sul nostro Pianeta e su di noi.

Dottoressa, i fattori inquinanti sono molteplici e hanno caratteristiche distinte. Si parla di origini, effetti e percentuali di influenza sull’inquinamento diverse per ognuno di loro. A questo proposito, quanto le plastiche e le microplastiche influiscono sul generale stato di inquinamento del pianeta e in quali modi?Guarda Stefania, il problema è mastodontico e quando parliamo di mastodontico parliamo di tonnellate. In realtà non sappiamo bene quanto sia grande il problema, perché ci siamo solo accorti di recente che effettivamente tutto quello che disperdiamo nell’ambiente non va via, non viene metabolizzato dagli ecosistemi. E purtroppo, come succede in tanti casi, più una macchia di inquinamento si espande più diventa difficile tracciarla, capire dov’è e quanto grosso sia il problema. Una cosa la sappiamo di sicuro: in tutta la letteratura scientifica per circa il 98% dei campioni che sono prelevati in acqua superficiale o in acqua di profondità troviamo fibre di natura tessile. Quando pensiamo a fibre di natura tessile pensiamo a fibre che possono essere il cotone o la lana, che tutti indossiamo, ma ci sono anche fibre sintetiche. Quello a cui non pensiamo molto spesso è che il cotone e la lana, come anche le fibre sintetiche, possono avere dei trattamenti sulla superficie e questi trattamenti a loro volta potrebbero lasciare la superficie come piccoli frammenti; non solo, ma le fibre sintetiche come anche quelle che noi conosciamo di origine naturale poi si possono frammentare. Ora, più un oggetto si frammenta più può essere trasportato dall’acqua, per esempio, e dall’aria e può diventare una zattera colonizzata da batteri e da microrganismi e altre volte, se trovi una scarpa in mare, molto spesso ci sono anche macrorganismi come le cozze. Il problema è che queste plastiche, questi oggetti e queste fibre tessili non appartengono al mare, non appartengono ai fiumi, non appartengono all’aria e quindi vanno a scalibrare gli equilibri locali di tutti gli ecosistemi in cui arrivano. I candidati ci sono, i candidati costano; costano perché sono sistemi che magari sono polimeri che si degradano nel tempo e per assicurarci che durino almeno la vita del capo di abbigliamento che tu stai comprando richiede energia, richiede energia intellettuale. Si può parlare di fibre che possono degradarsi nell’ambiente ma si può anche parlare di fibre che possono essere riciclate. Ora, in qualsiasi capo d’abbigliamento che tu indossi ci sono almeno due tipi di fibre: tu pensi di avere una camicia solo di cotone ma nel momento in cui tu hai i bottoni il filo che tiene i bottoni o che aiuta a fare gli orli è molto probabilmente di poliestere, perché è molto più forte del cotone. Ora questo complica tutta la catena produttiva perché non è che tu possa prendere la maglietta di cotone, recuperare la cellulosa e lasciare il poliestere. Rende la cosa difficile: più materiale utilizziamo in ogni capo più il processo di recupero è difficile.

Ultimamente stiamo assistendo a una considerevole riduzione dell’utilizzo della plastica, come abbiamo potuto notare in Italia con l’eliminazione dal mercato di piatti, bicchieri e cannucce di plastica. Inoltre, molti brand stanno adottando tecniche di riciclo per fabbricare i loro prodotti. Questi sono sicuramente progressi rilevanti, ma pensa che in futuro potremo arrivare a una quasi totale sostituzione della plastica con altri materiali? Ci sono materiali che hanno un buon potenziale per svolgere i ruoli della plastica ma in maniera più sostenibile?                              Questa è un’ottima domanda e da scienziata dei materiali ti posso assicurare che ci sono delle plastiche buone. Ci sono delle materie plastiche che sono definite come la combinazione dei polimeri con additivi che forse non sono per tutti perché non le utilizziamo tutti i giorni ma sono plastiche che vengono prodotte non da derivati del petrolio, piuttosto vengono prodotte da microalghe, rimangono in utilizzo e con proprietà decenti per un periodo di tempo che io e te considereremmo ottimo e poi, quando siamo pronti, le possiamo mettere nel terreno e farle compostare. Quindi le plastiche buone ci sono, è che non ce ne sono abbastanza e non ce ne rendiamo conto.

Sappiamo che le plastiche e le microplastiche disperse nell’ambiente sono dannose per noi, per gli animali e per il nostro pianeta. Ma lo sono solamente se abbandonate senza cura dopo il loro utilizzo o in generale come materiali, sin dalla loro produzione?                                                                   Stefania questa è un’ottima domanda, molto complessa. Il mondo delle plastiche è il mondo della complessità. Possiamo mescolare moltissimi polimeri e gli stessi polimeri con moltissimi additivi. Di per sé molte delle materie polimeriche che utilizziamo non sono dannose; sono solo dannose quando vengono a contatto con agenti che le possono erodere o depolimerizzare, quindi trasformare queste catene molto lunghe che si chiamano polimeri in molecole molto più piccole che possono essere molto più mobili nell’ambiente. Gli additivi sono uno dei grossi problemi delle materie plastiche (e sappiamo del BPA e di altri additivi) e sappiamo che quando questi vengono persi dalla plastica la plastica peggiora in proprietà. Per esempio ci sono degli additivi che rendono la plastica flessibile e forte. Il problema è che con il caldo, con i raggi solari, con il tempo, questi abbandonano la plastica e possono entrare nelle catene alimentari e quindi negli ecosistemi dove in realtà non appartengono. Questo è il problema delle plastiche; le plastiche di per sé sono un ottimo oggetto e la maggior parte delle plastiche sono inerti, le consideriamo inerti; certo non le mangeremmo mai ma per altri motivi, non perché siano tossiche di per sé. La maggior parte delle plastiche sono ottime, svolgono una funzione molto importante. Per questo sono molto difficili da sostituire; però il problema è che abbiamo ingegnerizzato una vita nelle materie plastiche che utilizziamo che è ben oltre l’utilizzo che ne facciamo. Se tu consideri uno scatolotto per portarti via la pasta da asporto, lo scatolotto ha bisogno di resistere 20 minuti, il tempo di arrivare a casa, non 400 anni! Quindi se riusciremo a cambiare questo approccio al generare materie plastiche con una durata di vita limitata usando materiali biocompatibili e utilizzabili in cicli biologici come fertilizzanti o come cose che possiamo far scomparire nell’ambiente senza lasciare un impatto negativo allora avremo raggiunto un equilibrio che forse è più sostenibile.

Ringrazio la dottoressa Alessandra Sutti per il tempo che ci ha dedicato e vi ricordo che questa sera alle 21.15 presso la Sala delle Capriate ci sarà il suo evento I vestiti dell’Imperatore; fare luce sull’invisibile nel mondo del tessile.

[Valentina Vitali]

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