Peter Gabriel “So” (1986)

Peter Gabriel “So” (1986)

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Peter Gabriel
“So”, 1986 (Geffen)
Pop-rock

di Paolo Bertoli

In attesa dell’ultima fatica discografica I/O che arriva a “soli” 20 anni (sic) dall’ultimo lavoro di inediti (e di cui è già possibile ascoltare in rete il primo estratto Panopticom), recuperiamo dalla memoria quello che forse è stato l’album più iconico di Peter Gabriel, So, pubblicato 37 anni fa. Non una semplice operazione-nostalgia ma la conferma che, ascoltato oggi, questo straordinario lavoro conserva intatti il fascino e soprattutto le intuizioni progressiste che hanno caratterizzato questo album, il quinto da solista del geniale artista di Chobham, Inghilterra.
La prima novità rispetto alle precedenti produzioni, puramente formale, riguarda il titolo; dopo aver battezzato i primi quattro dischi semplicemente con nome e numero progressivo, Peter Gabriel decide di identificare il proprio lavoro. Titolo semplice, diretto, minimalista: So (e in futuro la linea non cambierà con Us, 1988, e Up, 2003). Eppure tra i solchi di questo long playing, nato quasi in contemporanea con l’avvento del compact disc, di minimalista c’è ben poco. So è il trionfale affresco che segna il vertice di Gabriel; album sontuoso e denso, ricco di idee, di suoni e di commistioni di generi. Un disco arrangiato magnificamente e magnificamente suonato da alcuni tra i migliori musicisti “del giro” (ci torneremo poco più avanti). Probabilmente è l’opera perfetta di Gabriel, il culmine di una immaginifica visione elettro-futuristica ma anche in un certo senso romantica  – nell’accezione più lirica – iniziata con Gabriel III nel 1980 e proseguita con Gabriel IV due anni dopo e che lo proietta definitivamente tra i grandi del rock mondiale (anche a livello commerciale gli darà finalmente parecchie soddisfazioni).
So insomma è un capolavoro che dopo quasi quattro decenni si ascolta con immutato piacere e con la stessa ammirazione di allora, così come indimenticabile è il  premiatissimo videoclip di Sledgehammer, interamente realizzato in stop-motion.
Un breve cenno alla line-up dell’album, prodotto dal paziente Daniel Lanois che ha brigato non poco per contenere l’irruenza creativa di Gabriel, mai soddisfatto – a quanto si diceva – del risultato che si stava a poco a poco concretizzando. Peter convoca nuovamente in studio oltre a Lanois il fido David Rhodes – entrambi alle chitarre – l’imprescindibile Tony Levin al basso e il granitico batterista Jerry Marotta destinato però ad uscire di scena per cedere il posto ad un giovane e strabiliante Manu Katchè, che accompagnerà stabilmente Gabriel nel decennio successivo. Brevi apparizioni anche per l’ex Police Steward Copeland (batteria in Big Time), l’astro nascente Youssou N’dour (voce nel brano In your Eyes) e del violinista Shankar (in That Voice Again e Milgram’s 37). Ma soprattutto brilla uno dei rari duetti di Peter, quello con Kate Bush, nell’intensa Don’t Give Up, una delle vette più alte raggiunte dall’ex Genesis e sempre presente nei concerti dal vivo.
Due curiosità, infine, circa l’edizione speciale rimasterizzata di So, pubblicata in occasione del 30mo anniversario: l’album è arricchito dal brano This Is the Pictures (gioiellino nato in quel periodo dalla collaborazione con Laurie Anderson) mentre In Your Eyes appare esattamente dove Peter avrebbe sempre voluto, ovvero a chiusura del disco, e non in apertura della seconda facciata come nella prima edizione.

Questa la set list di So (edizione 2016):
– Red Rain
– Sledgehammer
– Don’t Give Up
– That Voice Again
– Mercy Street
– Big Time
– We Do What We’re Told (Milgram’s 37)
– This Is The Picture (excellent birds)
– In Your Eyes

 

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