Storia del barone Viscido

Storia del barone Viscido

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Per le piccole storie di Maria Vitoria Grassi

C’era tre  volte (per dire che era tantissimo tempo fa) un paese altrettanto antico che si chiamava  Tristilandia. in questo paese governava un barone, così maligno, pericoloso e infido che tutti lo conoscevano come il “Barone viscido”.

Era abbastanza bello e prestante ma, aveva le mani mollicce e untuose, la bocca sempre sorridente ma fissa in un eterno sorriso, gli occhi freddi e sfuggenti, i capelli raccolti in una lunga e irsuta coda di cavallo, che spuntava sotto una corona circondata di perle accecanti. Era l’ultimo discendente di un’antica stirpe, quella degli Untuosidi, famosi per avere sempre tradito in ogni possibile battaglia o guerra i loro amici e sovrani. E il Barone Viscido meritava tutta la fama dei suoi antenati: viveva in una specie di castello decadente e pieno di ragnatele, dove i pipistrelli svolazzavano notte e giorno, le finestre fischiavano anche se non c’era vento e persino le porte presentavano insidie, invitando le persone a entrare per poi richiudersi con invisibili chiavistelli.

Anche i servitori del Barone Viscido (che non aveva neanche un nome) erano diventati simili a lui. Il gran ciambellano, Ambiguo, era così servile che camminava eternamente curvo al punto di farsi venire una enorme gobba, il minimo Ciambellano, Guercino, strizzava a tutti l’occhio sinistro per mostrarsi eternamente condiscendente, il cuoco, Geremia, girava lugubremente per il castello spennando polli e agitando coltellacci e spiedoni. Insomma regnava ovunque un’atmosfera così inquietante e maligna che nessuno frequentava quel posto se non per assoluta necessità.

Naturalmente il barone era orfano e senza fratelli e sorelle. Così un giorno Ambiguo si fece avanti: “Ehm, scusi, mio Signore, non vorrei, però, ci sarebbe, volendo, secondo me, un p…” E qui si fermò. “Un p… cosa?” ribattè gelidamente Viscido, poi sogghignò: “un perfetto imbecille come sei tu?” “Sì, certo, mio signore, cioè no, eccellentissimo, un pr.. un pro… un prob… un problema!” finì coraggiosamente Ambiguo. In conclusione, per farvela breve, Ambiguo (impiegandoci tre giorni) fece capire a Viscido che se non si decideva a cercarsi una moglie poteva dare addio alla sua ingloriosa e vergognosa stirpe.

Viscido mugugnò, tentennò, biascicò, diede a tradimento un calcio negli stinchi a Guercino e poi, guardando la gobba di Ambiguo, acconsentì: “Se la tua gobba non mi porterà una bella ragazza degna di me, carissimo, ti raddrizzo la schiena a legnate!”. “Certo! Grazie, mio Signore!”, disse Ambiguo e procedette con il solito bando per cercare la sposa.  Nel giorno stabilito si presentò solo una ragazza, Gagliarda, con un ricco abito dalla lunga gonna, accompagnata dal suo valletto, Intrepido. Viscido si presentò tutto elegante, baciò (anzi risucchiò) la mano di Gagliarda, che temette che non gliela restituisse più, diede uno sguardo gelido a Intrepido e chiese sbrigativo e condiscendente: “Io sono pronto. A quando le nozze?”

Gagliarda, che era una bella ragazza bruna e non si faceva intimidire facilmente rispose: “Non corriamo così tanto!: prima vorrei conoscerla un po’, caro barone!”. Anche Intrepido si avvicinò: “la mia padrona è nobile di nascita, signore, e purtroppo è sola al mondo, ma non si sposerà se non con chi le piacerà!”. “Ma certamente! – rispose amabilmente Viscido – vedrai che le piacerò molto!” e, afferrato al volo un coltellaccio che il cuoco Geremia aveva dimenticato lì vicino, si avventò su Intrepido. Non aveva però fatto i conti con la gobba di Ambiguo, che gli stava sempre a fianco: il coltello si piantò nella gobba e non volle più uscire, Guercino, scappando spaventato, inciampò nella gonna di Gagliarda e diede uno spintone a Viscido, che infilò a testa in giù la finestra più alta del castello. E così finirono il barone Viscido e il regno di Tristilandia. Visto che non c’erano eredi Gagliarda si proclamò baronessa, sposò Intrepido e cambiò il nome del paese in Giubilandia. E nel castello, ripulito da ragnatele e pipistrelli, crebbero bambini felici, che galoppavano in groppa alla gobba di Ambiguo, sotto lo sguardo strabico di Guercino e in compagnia dei polli sempre più spennati di Geremia.

Un caro saluto e alla prossima! da vittoria

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