Iron Maiden “Killers” (1981)

Iron Maiden “Killers” (1981)

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Iron Maiden
“Killers”, 1981 (EMI Records)
Heavy metal

di Marco Caforio

I semi dell’immortalità artistica erano stati piantati con l’esordio omonimo; i deliziosi frutti vengono colti già col successivo “Killers”, che chiude come meglio non si potrebbe la prima fase della carriera maideniana – di lì a poco Bruce Dickinson prenderà il suo posto dietro il microfono, e nulla sarà più come prima-.
La continuità stilistica è lì da sentire; alcuni miglioramenti, tuttavia, appaiono altrettanto lapalissiani.
Basti pensare ai suoni, che grazie al guru della consolle Martin Birch registrano una impennata qualitativa terrificante; oppure all’approdo del nuovo chitarrista Adrian Smith, il quale inizia da subito a snocciolare perle di gusto melodico e di perizia nella costruzione degli assoli; o ancora alla qualità media dei brani, piuttosto eterogenei tra loro ma immancabilmente irresistibili.
Così, si passa senza colpo ferire da sferzanti scudisciate metalliche (la doppietta “Wratchild” – “Murders in the Rue Morgue” è di quelle che non si dimenticano) ad episodi dal taglio più progressive (si pensi alla strumentale “Genghis Khan”), passando per reminiscenze purpleiane (“Innocent Exile”), tentazioni acustiche (“Prodigal Son”) e sprazzi di inusuale violenza sonora (la title track, “Another Life”).
Una volta ancora, è l’indimenticabile vibrato di Paul di’Anno a conferire al sound quell’elemento aggressivo e stradaiolo che aveva fatto la fortuna dell’esordio. Lo stesso, iconico artwork di copertina a firma Derek Riggs, ci immerge come meglio non si potrebbe nel brumoso immaginario delle periferie londinesi.
Killers”, per motivi ignoti ed insondabili, venne accolto più freddamente del previsto, sia in termini di critica che di vendite; allo stesso modo, anche in virtù della serie di capolavori che seguirono, si tratta di un album che di rado viene menzionato fra i migliori in assoluto della Vergine. Gli stessi Maiden, a voler ben vedere, lo hanno ripetutamente snobbato in tanti anni di esibizioni live, mantenendo un posticino, salvo sporadiche eccezioni, per la sola “Wratchild”.
Misteri: per chi scrive parliamo di un’opera senza momenti di stanca compositiva, senza cali di tensione, e con un feeling, al tempo stesso raffinato e selvaggio, unico all’interno della discografia.
Fatevi un piacere: recuperate “Killers”, ed assaporate la magia che solo gli album realmente epocali sanno sprigionare.

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