PREZIOSE PRESENZE TRA BOSCO FONTANA E MANTOVASCIENZA

PREZIOSE PRESENZE TRA BOSCO FONTANA E MANTOVASCIENZA

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Se ci si occupa di natura, in particolare di insetti, una delle domande che più frequentemente ci si sente rivolgere è “e questa specie a cosa serve?”. La visione più diffusa infatti assegna importanza solo agli organismi che garantiscono un immediato beneficio all’uomo trascurando le specie apparentemente inutili per le quali non ha senso investire risorse ed energie rivolte alla tutela e alla conservazione; per questo l’estinzione di una farfalla non desta grandi preoccupazioni. In natura però ogni specie ha un proprio ruolo, fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio e del benessere degli ecosistemi, e la sua perdita crea un danno a cascata agli altri organismi uomo compreso, tutti strettamente connessi tra loro. Le farfalle, ad esempio, non sono solamente belle da vedere e magari da collezionare in scatole entomologiche ma si rivelano importanti bioindicatrici che segnalano lo stato di salute di un ambiente (soprattutto prati e pascoli), fondamentali impollinatori che garantiscono la variabilità genetica di molte piante e pure prede di artropodi (libellule), rettili e uccelli (tra cui i gruccioni). È per questo che sapere che il 6,3% delle specie italiane è a rischio estinzione e che il 31% delle europee è in declino è particolarmente preoccupante; d’altro canto questi dati aumentano l’importanza della presenza nel territorio mantovano, all’interno della Riserva Bosco Fontana, di 41 taxa e soprattutto di alcune popolazioni relitte di specie particolarmente vulnerabili. Per scoprire tutte le preziose presenze di questo bosco planiziale e il loro valore ecologico ci si può affidare al dott. Sonke Hardersen, entomologo ed ecologo specializzato nella realizzazione di monitoraggi di farfalle, libellule e coleotteri saproxilici che collabora dal 2003 con il Centro Nazionale Carabinieri Biodiversità, che gestisce la foresta.

Dott. Hardersen, quali sono le farfalle diurne più interessanti e vulnerabili presenti nella riserva e quali azioni si possono attuare per tutelarle?

Il Bosco Fontana, per essere un sito di pianura, è molto ricco di farfalle. Con gli studi che ho svolto io, ho trovato 41 specie, che è veramente un bel numero. Tra queste, alcune sono molto particolari considerando che ci troviamo in pianura, un ambiente che è, come sappiamo tutti, molto povero di foreste soprattutto antiche (cioè terreni che sono sempre rimasti foreste); questa continuità ambientale nel tempo è stata molto importante per mantenere le specie nel territorio. Abbiamo per esempio Argynnis paphia (Pafia in italiano), che vive solo nelle foreste dato che la femmina depone le uova su un tronco di un albero e le larve mangiano esclusivamente le viole, soprattutto la Viola reichenbachiana che si trova solo nelle foreste; al Bosco Fontana è presente una bella popolazione mentre se ci spostiamo verso l’Adriatico la Pafia non è praticamente più segnalata. L’unico altro sito che conosco è l’Isola Boschina sempre nel mantovano. Un’altra farfalla che abbiamo si chiama Lycaena dispar, specie protetta dalla Direttiva Habitat, una legge europea molto importante per la protezione della natura in Italia che impone l’obbligo di tutelare alcuni taxa nell’habitat in cui vivono. E’ tipica della Pianura Padana, dove fatica però a sopravvivere poiché è un area molto industrializzata e con un’agricoltura intensiva. A Bosco Fontana abbiamo solo una piccolissima popolazione probabilmente legata a quella che si trova lungo il Mincio: ogni tanto ne vediamo degli individui ma probabilmente non abbiamo sempre la specie, che sopravvive grazie ai lembi  di vegetazione che si trovano lungo i grossi fiumi come Mincio, Po e Chiese.

Lei si occupa di monitoraggio di lepidotteri e coleotteri al Bosco Fontana da diverso tempo. In questi anni come è cambiato lo stato di conservazione, sia in termini di ricchezza che di abbondanza specifica, di questi organismi?

La situazione negli ultimi anni (io lavoro al Bosco Fontana da vent’anni) è stabile. Attuiamo una gestione molto mirata e ponderata, che considera le esigenze di moltissime specie ed habitat. Posso però anche dire che negli ultimi 50 anni si sono estinte certe specie. Nel 1977 è stata registrata la segnalazione di una farfalla che si chiama Lopinga achine (anche questa nella Direttiva Habitat quindi con obbligo di tutela) che, dopo il ’77, non è più stata ritrovata; probabilmente anche a causa del cambiamento climatico è ora esclusivamente presente nell’arco alpino, non più in pianura. Perciò si può dire che certamente qualcosa abbiamo perso ma negli ultimi 20-30 anni la situazione è molto stabile.

I lepidotteri diurni sono importantissimi bioindicatori, perché la loro presenza è spesso legata a quella di particolari specie vegetali che ne ospitano gli stadi di sviluppo larvale oppure perché necessitano di prati e pascoli ricchi di biodiversità. Monitorando quindi le popolazioni di farfalle, che cosa si può dedurre sullo stato di salute ambientale della foresta?

Sì le farfalle sono ottimi bioindicatori anche perché sono molto ben conosciute (sono note la biologia e l’ecologia di quasi tutte le specie perché sono state studiate da molto tempo) quindi la scomparsa o l’arrivo di anche solo una nuova specie ci indica qualcosa. Sappiamo per studi non realizzati al Bosco Fontana che le farfalle delle praterie stanno diminuendo. C’è un progetto europeo, di cui adesso anche il Bosco fa parte, che ha seguito l’andamento delle farfalle delle praterie negli ultimi 30 anni (circa dal 1990) e ha evidenziato una forte decrescita della quantità di farfalle che vivono in questo habitat, molto probabilmente per effetto dell’intensificazione dell’agricoltura che sta ancora avanzando. Un altro elemento da considerare è che il riscaldamento globale sta facendo aumentare le temperature, come tutti sappiamo; se pensiamo alle specie in montagna, ovviamente ognuna ha il suo optimum ambientale e questo è legato ad una certa altitudine. Recentemente è stato pubblicato, in una rivista molto importante, un lavoro che ha considerato dati di presenza a partire dal 1960 per vedere com’è cambiata l’altitudine media di tutte le specie, scoprendo che questa si è alzata di 300 m (davvero molto). Le specie che una volta vivevano sulle punte delle montagne non avevano i     300 m per salire perché non c’erano più montagne quindi si sono estinte localmente.

[Valentina Vitali]

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