Bruce Palmer “The cycle is complete” (1971)

Bruce Palmer “The cycle is complete” (1971)

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Bruce Palmer
“The cycle is complete”, 1971 (Verve)
Rock psichedelico

di Silvio Loi (E Street Records)

Personaggio enigmatico Bruce Palmer. Il suo unico album “The cycle is complete” è stato recensito in maniera entusiastica da tutte le più prestigiose firme della critica musicale internazionale eppure rimane ancora un lavoro sconosciuto ai più. Di origine canadese Bruce inizia la sua carriera in alcuni gruppi locali per arrivare ai Mynah byrds nei quali incontra Neil Young.
Sciolta la band i due decidono di trasferirsi con l’ormai celeberrimo carro funebre di Neil Young a Los Angeles dove incontrano Spehen Stills che aveva già lavorato con Young durante una tour canadese. Con Richie Furay e Dewey Martin fondano i Buffalo Springfield che ci regalano tre album di ottima fattura prima di sciogliersi e dar vita ad alcuni dei gruppi che hanno segnato la storia del rock, cito solo Crosby, Stills Nash & Young, Poco, Loggins & Messina oltre a intraprendere delle carriere solistiche decisamente ragguardevoli (pensate alla quantità e alla qualità della produzione Younghiana).
Palmer invece pubblicò un solo album solista nel 1971 per poi scomparire per anni e poi ritornare al fianco dell’amico Young nel disco Trans e nel relativo tour, ancora qualche apparizione come sessionman e poi di nuovo l’anonimato.
The cycle is complete è stato definito da Bertoncelli come uno dei pochi dischi capaci di indicare nuove strade da seguire per evitare che la musica si ripetesse pedissequamente senza trovare il modo di rinnovarsi ed evolversi.
E’ un disco di non facile collocazione ed anche farne una descrizione non è impresa facile, forse il fatto che vi siano presenti alcuni membri dei Kaleidoscope (quelli americani non l’omonima band inglese) può dare una vaga idea dei contenuti.
La musica ha sicuramente un’impronta psichedelica che si mischia con alcune soluzioni folkeggianti e non manca nemmeno una vaga impronta di jazz, la voce di Ricky James Matthews ci regala dei vocalizzi che ben si accompagnano al ritmo ben scandito da congas e altre percussioni e alla melodia che poggia sul lavoro delle tastiere, della chitarra e da un flauto e un oboe dai sapori orientaleggianti.
Purtroppo questo capolavoro non ha avuto nessun riscontro commerciale e probabilmente nemmeno il suo autore si aspettava che ne avesse.
Pur se si tratta di due lavori molto diversi mi viene in mente il paragone con Tubular bells di Mike Oldfield, non tanto per lo stile musicale che come già detto ha ben poco in comune ma per l’approccio musicale e il coraggio di esplorare strade diverse che entrambi hanno avuto.
Se non vi fidate di me date retta al maestro Bertoncelli scoprirete un album che per caratura mi permetto di accostare alle cose migliori di altri personaggi coraggiosi come Nick Drake, Tim Bucley e il Crosby di If l could only remember my name.

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