Amon Amarth
“Twilight of the thunder god”, 2008 (Metal Blade Records)
Metal, Hard-rock
di Marco Caforio
Che l’immaginario vichingo si sposi alla perfezione con l’heavy metal è un dato di fatto, tanto che una lista degli album contraddistinti da questo inossidabile connubio sarebbe pressoché smisurata.
Al contrario: un ipotetico elenco, all’interno del filone viking, di opere gloriose, possenti ed evocative come “Twilight of the Thunder God”, risulterebbe oltremodo esiguo.
Già, perché gli Amon Amarth, con l’ottavo full length della loro lunga carriera, confezionano il loro capolavoro, compiendo il definitivo passo verso la maturazione artistica e divenendo imprescindibile punto di riferimento dell’intera scena death scandinava.
La compagine di Stoccolma, ad onor del vero, aveva già deliziato i palati dei fans con dischi spettacolari (il debut “Once Sent from the Golden Halls” ed il precedente “With Oden on Our Side” su tutti); eppure, la forza dirompente di “Twilight of the Thunder God” rappresenta un unicum irripetibile e inarrivabile.
Basterebbe posare le orecchie sul main riff della monumentale title track, posta saggiamente in apertura, per rendersi conto del grado di fomento che i Nostri sono in grado di generare.
Le successive “Free Will Sacrifice” e “Guardians of Asgaard” (che vede l’ospitata dietro il microfono di LG Petrov degli Entombed) certificano il livello stratosferico delle composizioni e lo stato di grazia della coppia di asce Olavi Mikkonen / Johan Söderberg, mai così protagonista in passato.
Le vocals di Johan Hegg, dal canto loro, raggiungono in episodi come “Varyags of Miklagaard” e “Tattered Banners and Bloody Flags” picchi di potenza addirittura spaventosi. Il corpulento frontman riesce davvero a marchiare a fuoco ogni singolo brano col suo growling pieno e cavernoso, fornendo ulteriore dimostrazione di quanto incauta e superficiale sia la tesi, propugnata da molti ascoltatori occasionali, secondo la quale “i cantanti death metal suonano tutti uguali”.
“Twilight of the Thunder God” procede la propria marcia trionfale senza inciampi, senza momenti di stanca, macinando momenti di pura esaltazione battagliera con disarmante costanza, e si chiude così com’era iniziato: con un capolavoro. “Embrace of the Endless Ocean”, infatti, è un inestimabile gioiello di pura epicità vichinga, e fa calare il sipario come meglio non si potrebbe.
Se Odino esistesse davvero, avrebbe di certo un poster degli Amon Amarth in camera.