Andar per Mantova: IL Mapèl

Andar per Mantova: IL Mapèl

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Buona giornata da Maria Vittoria Grassi per questo appuntamento con andar per Mantova, una rubrica che parlerà un po’ di tutto facendo riferimento a tempi e luoghi della nostra città. E dato che Andar per Mantova è anche curiosare in certe espressioni tipiche ma, nel tempo, diventate oscure, comincerò con un detto che più volte mi è capitato di sentire e di cui a suo tempo mi sono interessata: Che Mapèl! L’espressione viene usata per alludere a una situazione di confusione, di disordine .. ma il termine mapèl o Mapello ha un’origine interessante e per la verità piuttosto tetra, perché “mapeè”, per i mantovani di alcuni secoli fa era sinonimo di “Peste”. Il termine Mapel infatti aveva una volta un significato ben preciso e lo conoscevano bene i cittadini del lontano quattrocento, del cinquecento e poi del seicento….

Il Mapel, edificato nel 1458, era il luogo di rifugio degli appestàti, uno spazio isolato con un “lazzaretto” – come con termine più elegante il Manzoni direbbe – con tanto d’ospedale e di chiesa. Ecco perché mapel originò il suo significato di “confusione, disordine fastidioso”, quel parapiglia che accadeva insomma quando si strappavano i poveri sospettati di peste dalle loro case e li si conduceva a forza nell’isolamento sinistro e disperato della località chiamata Mapel o Mapello. Qui infatti coloro che erano colpiti dal morbo, strappati dalle loro case, privati di tutto e allontanati da tutto, erano raccolti e – più o meno – curati, fintanto che il morbo infuriava.

Ora nessuno sa più dove si trovasse di preciso l’antico lazzaretto, ubicato, a grandi linee, sulla sponda del lago superiore di fronte alla Chiesa delle Grazie…

Ma, citato il luogo, vediamo di passare brevemente in rassegna il percorso purtroppo non raro della peste che infuriò in Europa e anche nel mantovano fino alla fine del Seicento, mentre sopravvisse fino nell’Ottocento nell’Impero turco.

Per il Mantovano potrebbero essere tanti i riferimenti a terribili epidemie di peste che, di tanto in tanto, esplodevano mietendo vittime a più non posso. L’archivio di Stato di Mantova possiede una serie di lettere che permettono di ricostruire una grande cronaca di anni infausti, sulla scorta della descrizione della peste nera del 1348, probabilmente la più conosciuta, considerata spesso una punizione di Dio per i peccati dell’umanità:

In tempi tanto difficili si può ben comprendere come ci si rivolgesse a Dio e s’invocassero pietà e miracolosi aiuti di fronte a un male nei confronti del quale l’uomo di allora era senza difesa alcuna: così proliferavano numerose processioni, sacre rappresentazioni, pratiche votive… e anche amuleti, sacchetti da appendere al collo, unguenti, preghiere, piante aromatiche con cui spalmarsi e da portare addosso. Per purificare l’aria si bruciavano per le strade e nelle case zolfo e legni odoròsi. Chi poteva scappava, altri pregavano e facevano processioni e voti ai santi, soprattutto a San Sebastiano.

Nel 1463 troviamo che a Mapello furono rinchiuse «… 300 bocche…», soprattutto povera gente, .e  persino Ludovico Secondo Gonzaga, pare sia morto di peste.

Il morbo si manifestò con diversa virulenza in tempi ricorrenti e culminò attorno al 1630, con il Sacco di Mantova, quando per tre giorni l’esercito imperiale, dopo la resa dell’ultimo duca di Mantova. devastò la città, travolta dagli orrori della guerra, del massacro e della peste, probabilmente portata proprio dai soldati. I cronisti dell’epoca scrivono che non c’era più modo di provvedere nemmeno alle sepolture, che i morti venivano portati fuori dalla città, buttati nel lago o in fosse improvvisate.. Uno scenario apocalittico sullo sfondo della brutalità dei Lanzichenecchi.

Ma di questi nuovi barbari e della fine ingloriosa del ducato di Mantova parleremo un’altra volta.  Su queste note allegre e consapevole di aver provocato anch’io un bel po’ di Mapèl (da cui ero partita) vi lascio con il consueto a risentirci a presto.

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